* uscita digitale 23/10/2020
- cd e vinile 12/02/2021
È ancora un affare di famiglia il quarto album solista di Jeff Tweedy
(non volendo contare il progetto più “sperimantele” del lotto, quel Sukiarae
accreditato a una più corale sigla, Tweedy), inciso in tempi di forzato
ritiro da pandemia fra le mura dell’amato studio di Chicago, The Loft.
Ad affiancare la voce e le canzoni di Jeff, nuovamente in libera uscita
dall’avventura Wilco, ci sono infatti i figli Spencer (ogni sorta di percussione
e batteria sparsa lungo il disco) e Sammy (presenza più defilata e naif,
ai cori in alcuni episodi) e nessun altro, con il titolare a vagheggiare
sui propri sentimenti suonando chitarre acustiche ed elettriche.
Con la band principale impossibilitata a prendere la lunga strada del
tour, messo con le spalle al muro, sebbene più fortunato di tanti altri
colleghi musicisti, dalle privazioni e dalle incertezze di questo 2020,
Tweedy reagisce a modo suo, guardandosi allo specchio, cercando risposte
nelle proprie emozioni personali, nell’amore totalizzante racchiuso in
quel titolo, Love is the King, e nella canzone omonima che
apre come un manifesto questo album dalla costruzione dimessa e domestica.
Abitano una zona confertevole le ballate di Love is the King, seguendo
il percorso già indicato dall’accoppiata Warm
e Warmer, ovvero sia il lato meno rocambolesco e quello più intimo del
songwriting di Jeff Tweedy, che in assenza dei restanti Wilco cerca di
asciugare la sua poesia folk tornando a quel pencolare pigro e rustico
che abita l’anima più antica del suo fare musica.
Il dondolio dolce di Opaline, oppure
la favola sussurrata di A Robin and a Wren
appaiono come ennesime varianti dello stile definito magistralmente da
canzoni come Far Far Away in avanti (erano i tempi del doppio Being
There e della definizione del canone "alternative-country"):
stilisticamente si vive un po’ di rendita caro Jeff, eppure la rivelazione
melodica è spesso dietro l’angolo e tra qualche chitarra che scalcia nervosa
e psichedelica sotto le ceneri (e prima o poi bisognerà ammettere le qualità
del Tweedy chitarrista, al netto dell’esuberanza di Nels Cline dentro
il suono dei Wilco) e tenerezze folkie che scaldano il cuore entrando
nella stanza in punta di piedi (Even I Can See, la felpata Save
it For Me), Love is The King è un amorevole antidito alla solitudine
e alla confusione del mondo che volge lo sguardo alle piccole gioie della
vita e all’accettazione del proprio tempo e ruolo nella vita.
Che poi di tanto in tanto ci scappi “il brano alla Jeff Tweedy”, irresistibile
nella sua apparente modestia folk rock è un dettaglio inevitabile e che
in fondo ci aspettiamo: l’imbarazzo della scelta cade fra il caracollare
di una Gwendolyn che si potrebbe già
immaginare tra le grinfie degli stessi Wilco a fare scintille, oppure
la più vivace Natural Disaster, con tratti da country rock acidulo,
e quella dolciastra patina che trascina Guess
Again. Non tutto brilla di luce propria, e sul finale la vena
introspettiva della famiglia Tweedy pare accartocciarsi troppo su se stessa
e i suoi pensieri, ma scampoli del brillante talento di un autore, ormai
divenuto un classico di questi anni, sono sempre in agguato.