Barba e abbigliamento tra
il montanaro hillbilly e l’eroe blue collar di provincia, John R. Miller
spunta dal nulla, nato e cresciuto fra le colline della Shenandoah Valley,
sulle rive del fiume Potomac. Depreciated è un esordio internazionale
che il prestigioso marchio Rounder non si è fatto sfuggire e che mette
una seria ipoteca sul premio come debutto dell’anno in ambito Americana,
categoria songwriter e dintorni, quelli che raccontano il paese da una
visuale defilata, con il piglio del narratore di strada e i contorni di
un lunga tradizione di storyteller fra acustico ed elettrico.
Miller si presenta con il sostegno dell’amico e collega Tyler
Childers, altro bel talento della nuova ondata country d’autore,
il quale spende parole di elogio per la scrittura musicale e le doti di
strumentista di John. Le possiamo cogliere tutte in Depreciated,
che tra le frecce al suo arco dispone di una tecnica invidiabile, sia
quando mostra le radici folk e si dedica alle trame del fingerpicking,
sia quando imbocca una via più elettrica che lascia defluire passaggi
blues sporcati di accenti sudisti e psichedelici. Ad accompagnarlo per
mano fino alla meta di Nashville, dove il disco è stato inciso, ci sono
il produttore Justin Francis (Leon Bridges, Kacey Musgraves) e il partner
musicale Adam Meisterhans, altro notevole chitarrista, con una formazione
a sei che esalta anche le note del fiddle di Chloe Edmonstone, il mandolino
di John Looney e la steel guitar di Russ Pahl.
Il piatto è servito e gli umori dei brani di Miller celebrano le sue roots
affogate nella West Virginia, la gavetta in posti sperduti e “spaventosi”,
l’attaccamento a un territorio che porta con sé storie antiche e voglia
di riscatto. Con un retroterra di povertà in famiglia e un innamoramento
precoce per la musica, la vicenda personale di John R. Miller assomiglia
a tante altre, compreso il passaggio dalle punk band giovanili all’amore
per il country d’autore di gente come Steve Earle, John Prine o Guy Clark,
ma qui la differenza sono ballate assai mature per un esordiente e un
caleidoscopio di sensazioni che scartano tra gli effluvi southern swamp
di Lookin’ Over My Shoulder e i languori
blues alla JJ Cale di Borrowed Time
fino alle dolcissime filastrocche acustiche da romanzo on the road come
Faustina, country folk che riporta alla migliore tradizione dell’altra
Nashville dei Settanta. La voce di Miller è l’altro dettaglio che non
passa inosservato, contiene uno spessore e una “pigrizia” che trasmettono
la dura vita e i colpi ricevuti nonostante la relativa giovane età: ombre
di alcolismo e depressione, che sono lasciate definitivamente alle spalle
oppure esorcizzate nei ricordi, risolvendosi nella tersa bellezza della
melodia di Shenandoah Shakedown, piccolo
gioiello di equilibri tra chitarre gothic country, e della gemella Coming
Down, più nostalgica e guidata dalla danza di un violino avvolta tra
spirali elettriche.
Non c’è un solo brano che non sveli una scoperta, un verso o un passaggio
musicale degno di nota, toccando tutte le sfumature di quello che si dovrebbe
intendere per Americana: Old Dance Floor ruzzola
su un sentiero da heartland rock che si aggrappa alle vesti dei maestri
Steve Earle e John Mellencamp; Motor’s Fried e lo strumentale What’s
Left Of The Valley tornano sulle colline della Virginia con un suono
che più agreste non si può; Back And Forth è un valzer country
d’altri tempi; Half Ton Van resuscita
i fantasmi di Hank Williams e si abbraccia volentieri a una pedal steel
dai sapori texani; Fire Dancer chiude con una nota di raccoglimento,
soltanto voce, chitarra (elettrica) e due note di piano elettrico.
Disco abitato da uno spirito antico, eppure lontano dalla semplice calligrafia
folk, Depreciated è un compendio di caratteri e suoni che arrivano
dal cuore di un songwriter che appare assai più maturo di quanto
non sveli la sua età anagrafica.