Bianco e nero, nubi basse
che si addensano, liriche che procedono per brevi sensazioni e immagini
immerse nella natura, ballate ossute, dall’anima folk densa e scura: il
quinto album solista di Chris Eckman, Where the Spirit Rests,
è una sorta di personale “american recording”, per suggestioni e stile
sonoro evocati, inciso nel suo isolato ritiro europeo in quel di Lubiana.
Da anni trasferitosi nella capitale slovena, dove gestisce uno studio
di registrazione personale e lavora a mille progetti, in qualità di autore
e produttore, l’ex condottiero dei Walkabouts è musicista di rigore assoluto
e al tempo stesso di grande apertura e curiosità (basterebbe citare la
bellissima creatura dei Dirtmusic creata insieme a Hugo Race). La dimensione
solista sembra tuttavia abbandonarsi magnificamente a scavare nelle profondità
delle sue radici di folksinger, dentro quell’eredità Americana che insieme
ai Walkabouts ha spesso fatto riemergere in ballate tempestose.
Se ciò che caratterizzava la band con Carla Togerson era, gioco forza,
un suono più elettrico, dal passo ora epico, ora notturno, nel viaggio
di When the Spirit Rests (e altrettanto accadeva nel desertico
Harney County
del 2013, da riscoprire) si allungano le ombre acustiche di una tradizione
ripercorsa indossando gli abiti neri di Johnny Cash e attraversando l’intensità
ferina di Nick Cave. Si tratta soprattutto di affinità elettive, per una
musica e un autore che, nonostante la figura di culto, non avrebbe bisogno
di sostenere confronti: è la voce, mai così nera, arsa, incanalata nelle
profondità dell’animo umano, a dettare simili suggestioni, annunciando
il tenore dell’album nei fantasmi di Early Snow.
Elementi naturali, proverbiale wilderness, sono costantemente richiamati
nei testi, che si accumulano attorno a sentimenti di perdita, incertezza
e ricerca di redenzione, per un pugno di ballate (sette in tutto, ma mediamente
lunghe) fondate sul binomio essenziale di voce e chitarra (il finale con
CFTD, acronimo di “calm the fuck down”, la più austera e folkie
dell’intero disco), e poi incatenate alle stratificazioni sonore offerte
da piano e synth di Alastair McNeill (Roísín Murphy, Yila), con qualche
intrusione di pedal steel (i languori country di This Curving Track,
quelli sabbiosi e lunari di Driving in America) ad accentuare il
distante cuore americano che batte nel petto di Eckman. Non occorre molto
altro, se non un parca sezione ritmica e soffi di violino e viola (Catherine
Graindorge), per procedere lungo il crinale selvaggio di Cabin
Fever, scorcio di eleganza che si riallaccia ai momenti più
poetici dei Walkabouts, oppure per lasciarsi cullare dalle visioni di
Northern Lights, miracolo di sottrazioni
sonore, tra i momenti più sospesi di un album che trova la sua autentica
catarsi nei nove minuti della stessa When the
Spirit Rests, preghiera d’amore che fluttua su un tappeto di
sospiri dettati dal piano elettrico dell’ospite Chris Cacavas.
Un disco con un’anima quasi ancestrale, ma calato dentro il nostro tempo
e tutte le sue insicurezze.