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Rodney Crowell
Triage
[RC1 records/ Goodfellas 2021]

Sulla rete: rodneycrowell.com

File Under: texan maestro


di Fabio Cerbone (30/07/2021)

Un senso di profonda spiritualità, una ricerca di conforto e guarigione attraverso l’amore universale pervadono le canzoni di Triage, diciottesimo album di studio del texano Rodney Crowell. Un disco che si impone subito all’attenzione per il valore introspettivo delle liriche e soltanto in un secondo momento cresce di intensità attraverso i suoi dettagli musicali. Ha ragione da vedere il produttore Dan Knobler (apprezzato di recente al fianco di Allison Russell) nel descriverlo come un lavoro dove non una sola nota è andata sprecata, tutto registrato in funzione dell’armonia con il messaggio. L’altra faccia della medaglia è forse l’apparente energia trattenuta della band (con la partecipazione, fra i tanti ospiti, di Steuart Smith, Jerry Roe, Eamon McLoughlin e David Henry), una raffinata cura delle emozioni che appartiene comunque allo stile di questo songwriter.

Sebbene cresciuto alla scuola dei grandi troubadour della sua terra, sotto l’ala protettrice di Guy Clark, suo maestro, e Townes Van Zandt, e nonostante sia stato spesso incasellato fra i "nuovi tradizionalisti", il country d’autore di Crowell, già al servizio di Emmylou Harris e Rosanne Cash, ha sempre evidenziato un’eclettica inclinazone per la canzone pop rock, per una scrittura che lo ha spesso avvicinato più a Tom Petty e George Harrison che non ai tanti colleghi svezzati a pane e outlaw dalle parti di Houston. Dunque, chiuso idealmente l’omaggio alla sua terra del precedente Texas, gioco forza più ruspante negli esiti musicali e dalle ricche collaborazioni, Triage sviluppa il suo canto d’amore ferito – per un mondo diviso e confuso da scontri sociali, cambi climatici e pandemia – attraverso una delle raccolte più personali della sua carriera, che sussulta nell’introduzione drammatica di Don’t Leave Me Now e della stessa Triage, suono elettro-acustico che ricama tra chitarre, piano e voci con il giusto equilibrio tra canzone d’autore Americana e languori pop.

Che sia un album di luci e ombre lo evidenzia anche l’attendista e malinconica melodia di Transient Global Amnesia Blues, canzone nata da un’esperienza personale di Crowell, improvissamente colto da un episodio di amnesia che ha richiesto un ricovero urgente, per fortuna rivelatosi benigno e passeggero. La qualità e il mestiere del songwriter è rendere queste ballate, dall’afflato religioso e umano al tempo stesso, niente affatto pedanti: la leggerezza country rock di One Little Bird, con il soffio di armonica, è degna del maestro Willie Nelson, mentre la richiesta impellente di Something Has to Change unisce la missiva politica di Crowell con un ballata elettrica di intensità trattenuta. Non tutto l’ardore delle confessioni di Rodney Crowell si traduce in brani memorabili (Here Goes Nothing indugia e il caracollare blues di I’m All About Love appare un po’ fuori posto), ma quando autore, produzione, band e arrangiamenti si allineano nascono pietre preziose: i quasi sei minuti di una Girl on the Street sospesa tra picking acustico e fluttuazioni elettriche, la semplicità folkie della preghiera contenuta in Hymn#43, la lucentezza del finale con la stellare ballata di This Body Isn’t All There Is to Who I Am, sono tutti episodi che confermano l’intensa stagione della saggezza di Crowell, sempre più padrone del suo ruolo.


    



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