File
Under: I'm texan and I'm proud
di Fabio Cerbone (29/08/2019)
In fondo ha sempre messo
al centro il suo amato Texas Rodney Crowell, quanto meno da quel
celebrato The Houston Kid, disco dal taglio autobiografico che
lo rilanciò all’attenzione della scena Americana, incoronandolo fra i
padri putativi del genere e fra i songwriter più accreditati di quella
terra. C’è un legame sottile dunque che lo conduce fino ad oggi, all'ambizioso
carattere di un titolo come Texas, nelle intenzioni una
raccolta di cartoline, ricordi, suggestioni tradotte in canzoni, che dovrebbero
avere come protagonista assoluto quello che molti definiscono “a state
of mind”, prima ancora che un vero membro dell’Unione, sempre un po’ a
sé stante, riottoso, indipendente, nel bene e nel male. Noi annoveriamo
naturalmente Crowell e i suoi compagni di viaggio nella prima parte del
tabellone, tra le bellezze texane da preservare, la sua musica come colonna
sonora dell’essere “fuorilegge” per natura, generazione di narratori con
la chitarra.
L’idea di mettere in musica l’eredità texana nasce in Crowell dopo un
interlocutorio disco di vecchi e nuovi classici rivisitati in chiave acustica
(Acoustic Classics, con poca fantasia), tornando invece a fare
sul serio con quella ispirazione che ha reso Rodney un talento sbocciato
in tarda età. È innegabile, infatti, la qualità dei suoi album negli ultimi
vent’anni, invecchiato come il buon vino e lontano dai cliché anche quando
sceglie di mettere insieme un cast stellare e una lunga sequela di duetti:
Texas rifugge le accuse di una semplice parata di ospiti, semmai
cerca in ogni compagno di cordata la spalla ideale per esaltare il songwriting
e la forma delle composizioni di Rodney Crowell. Così, dallo svelto country
rock virato al funky, spesso in chiave ironica, di Flatland
Hillbillies, con Randy Rogers e Lee Ann Womack, scelto come
singolo apripista, si passa allo struscio tutto movenze swamp blues di
una strepitosa Caw Caw Blues (con
Vince Gill) e allo swing disinvolto di I’ll Show Me.
Passo dopo passo, con brillanti coloriture strumentali, esuberanza melodica
alternata a schietta scrittura tradizionalista, Texas illumina
le diverse inclinazioni di Rodney Crowell, uno che fin dagli esordi a
Nashville nei panni del country rocker ci è sempre stato stretto. Ecco
allora avanzare l’arcigno rock blues di 56 Fury,
marchiato inevitabilmente a fuoco dal roccioso stile chitarristico di
Billy Gibbons (ZZ Top), concittadino di Houston che presta il fianco
anche alla voce, prima che arrivi la brezza country a tempo di walzer
di un instant classic come Deep in the Heart of Uncertain Texas,
sospinta a vele spiegate dalle voci di Ronnie Dunn, Willie Nelson e Lee
Ann Womack. La freschezza pop con cui spesso Crowell ha saputo “imbrattare”
le radici texane emerge poi in You’re Only Happy When You’re Miserable
(con l’amico Ringo Starr in sessione), nel barcollare palpitante del piano
in What You Gonna Do Now in coppia
con Lyle Lovett e nel finale esemplare di Texas Drought Part
1, che rimanda proprio ai migliori passaggi del citato The Houston
Kid.
I momenti più strettamente di impronta rurale sono anche quelli in cui
risaltano storie tra passato e presente, dentro un Texas contraddittorio
e industriale che emerge nella filastrocca country di
Brown & Root, Brown & Root (con la voce rauca e spezzata di
Steve Earle a fare da guida nell’introduzione), gioioso nella pantomima
western di Treetop Slim & Billy Lowgrass e tragicamente attuale
nella descrizione di The Border, confessione amara di chi lavora
sul confine messicano, immersa nell’incanto acustico di accordion e chitarra
spanish.
Gioie e dolori del Lone Star State tramandate da un “venerato maestro”.