Che David Crosby abbia
scelto una canzone di Joni Mitchell come titolo della sua nuova fatica
discografica è più di un segno. “Joni è la più grande singer/songwriter
vivente – dichiara – e For free è una delle mie canzoni preferite,
perché amo ciò che dice a proposito dello spirito della musica e di cosa
ci spinge a suonarla”. A parlare è un Crosby in vista dell’ottantesimo
compleanno e chi avrebbe scommesso, già un bel po’ di decenni fa, che
ci sarebbe arrivato? Provoca perciò lo stupore del miracolo questo nuovo
disco del nostro, il quinto a far tempo da quel Croz
che nel 2014 segnò una delle numerose – ma forse la più riuscita – delle
sue rinascite, nonché la regolare ripresa della produzione solista.
For Free prosegue nel solco degli ultimi dischi e, pur non raggiungendo
le vette del citato Croz, viaggia a velocità di crociera seguendo
la rotta di Lighthouse,
Sky Trails e Here
if you Listen. Lessico nautico per questo navigatore di oceani
e nostalgie giacchè, a partire dalle navi di legno di Wooden Ships,
non cessa di spargere salsedine sui suoi titoli citando imbarcazioni di
varia foggia e ispirazione. Qui per esempio troviamo Ships in the Night,
che in più evoca la notte. Perché la notte, con i suoi figli apocrifi,
è un altro tema ricorrente fin dal primo verso di For
Free, forse perché sia Joni che David – sodali delle accordature
aperte – sono ispirati dalle ore lunghe e tumultuose. Fa tesoro dell’esperienza
CPR questo nuovo disco, che infine mischia le acque di confluenza con
il suono degli Steely Dan, sempre venerato da Crosby. Insieme alla giovane
vocalist Sarah Jarosz, ecco infatti in azione Donald Fagen e Michael McDonald;
ne escono melodie tanto evocative quanto inafferrabili, che lasciano ampio
spazio all’immaginazione dell’ascoltatore.
Come per esempio nella pianistica I Won’t Stay
for Long, la preferita dell’autore che, come sappiamo, è abituato
a parlare chiaro. Curiosamente la piazza in fondo al disco, perché gli
piace chiudere in bellezza e non soltanto nei dischi. “Dolorosamente bella”
la definisce e lui è uno che non ha mai negato la connessione tra bellezza
e dolore. Non si astiene nemmeno in River Rise, l’accattivante
brano di apertura, facendoci sapere che “…è tardi in California…il freddo
sta incombendo… lascia che il tempo finisca… sono pronto a volare…”. Affermazioni
da brividi. Da tempo Crosby ci consegna l’autoritratto di un uomo “pronto
a volare” e coerentemente ci ricama sopra partiture siderali che, se sei
disposto a lasciarti avvincere, ti trasportano in vertigini intergalattiche,
non meno di quanto riusciva a fare Chick Corea con il suo Hymn of the
seventh galaxy. La prova sta nella bella Rodriguez
for a Night, le cui scale discendenti ti risucchiano alla maniera
di Stevie Wonder di Innervisions.
Paragoni arditi? Forse, ma se ci pensiamo le affinità spesso si giocano
in sfumature poco appariscenti. Per il resto si veleggia in bonaccia,
ma la qualità estetica non difetta mai. Anzi, paradossalmente potrebbe
configurarsi il rischio di un’eccessiva perfezione formale o di una specie
di manierismo espressivo. Ma queste sono valutazioni che attengono alla
sensibilità individuale dell’ascoltatore. A me pare che possiamo dirci
fortunati potendo godere, ancora una volta e per di più in tempo reale,
di dieci canzoni inedite del nostro amato baffone. Possibilmente ne aspettiamo
altre.