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the coolest déjà vu di
Nicola Gervasini (13/02/2014)
Per
entrare nelle viscere di Croz si potrebbe partire dalla foto di copertina.
Non perché sia particolarmente notevole dal punto di vista tecnico, ma solo perché
lo sguardo di David Crosby non è rivolto al pubblico (come invece lo era
quello di Oh Yes, I Can del 1989), ma continua a guardare oltre, in un altrove
dove si trova quella terra promessa tanto sognata nei suoi anni giovanili. Ma
ancor più significativo è il fatto che la foto sia stata scattata da suo figlio
Django, il quarto della sua lunga e tribolata vita (se non si contano anche i
due figli regalati con inseminazione artificiale a Melissa Etheridge). Uno scatto
che coglie un padre che non si è fermato, ancora intento a pensare ad un mondo
tutto suo, non ancora pronto per gli onori e riconoscimenti di fine carriera e
per il meritato retirement a godersi i nipotini.
Crosby è uomo noto per
la sua iper-sensibilità, uno che ha ancora l'innocenza di soffermarsi a cogliere
l'aspetto tragico e umano di un gruppo di prostitute intente a convincere un branco
di immondi ubriaconi a passare la notte con loro (If She Called). Non combatte
più in prima linea, è ormai fuori dal grande giro, e troppe sconfitte lo hanno
reso ancor più placido. Ma in fondo non si è arreso. Di fatto le maggiori case
discografiche si sono rifiutate di pubblicare un suo nuovo disco di inediti, e
allora Croz se l'è autofinanziato e autoprodotto (in studio la regia è stata comunque
dello scafato Daniel Garcia). E anche le guest stars (un Mark Knopfler che
dona un'aria da hit-single all'inziale What's Broken
e un Wynton Marsalis che gigioneggia in Holding On
To Nothing) pare che abbiano concesso i loro servigi da lontano e senza
richieste di compenso. Per Crosby questo ed altro. Non fosse altro che, sebbene
non aggiunga nulla a ciò che già sapevamo di lui e della sua splendida musica,
Croz è un bel disco, figlio non tanto dei suoi lavori solisti (non c'è nulla qui
dello spirito comunitario di If I Could Only Remember My Name, né della spavalderia
da comeback di Oh yes, I Can, né tantomeno della sorniona furbizia pop di Thousand
Roads), quanto della felice esperienza con i CPR (due album più che interessanti
pubblicati tra il 1998 e il 2001).
James Raymond è sempre al suo fianco
infatti, di fatto mette penna, tastiere e pure qualche pizzico di elettronica
un po' ovunque, magari deludendo chi si aspetta ancora una nuova Almost Cut My
Air, ma facendo felice invece chi ancora sta sognando sulle note di Guinnevere
o Laughing. Undici brani lievi e smussati, in cui solo Set
That Baggage Down tira fuori un po' la unghie (il brano è suonato e co-firmato
dall'ex Lone Justice Shane Fontayne), mentre per il resto David si culla sul timbro
da brividi della sua ugola, infilando alcune piccole gemme come The Clearing,
Radio o Slice Of Time.
Non basta per riscrivere una nuova storia, ma Croz resta uno dei déjà vu più indispensabili
degli ultimi fuochi del classic rock.