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William the Conqueror
Maverick Thinker
[Chrysalis Records 2021]

Sulla rete: williamtheconqueror.net

File Under: fuzzy rock


di Fabio Cerbone (01/05/2021)

Progetto collettivo nella formula del trio e al tempo stesso estensione del songwriting del solo Ruarri Joseph, William the Conqueror (impegnativo nome che omaggia Guglielmo I d'Inghilterra detto "Il Conquistatore") affronta la difficile prova di un album chiamato a riassumere il percorso musicale dei due precedenti lavori di questa formazione scozzese. Completando una sorta di trilogia, inaugurata nel 2017 grazie alla bella rivelazione di Proud Disturber Of The Peace e in seguito smussata dalle ambizioni più mainstream di Bleeding on the Soundtrack (operazione avvenuta sotto l’egida produttiva di Ethan Johns), Maverick Thinker getta il cuore oltre l’ostacolo, accentua il carattere più scorbutico ed elettrico che già emergeva in parte nel suo predecessore e trova una accattivante espressività per i racconti dal sapore autobiografico e confessionale del leader.

Joseph, talentuoso autore di Edimburgo con una prima parte di carriera carica di promesse (l’esordio per il marchio Atlantic) finite nell’indipendenza assoluta, sembra adesso mostrare una visione più chiara dell’alchimia sonora creata di comune accordo con Harry Harding (batteria) e Naomi Holmes (basso). L’aspetto è quello di un rock d’autore dal retrogusto rugginoso e anni Novanta, costruito su trame essenziali e dall’incedere nervoso e vulnerabile a seconda dei momenti, collezionando malinconie, ricordi, immagini di una personale odissea umana proiettata verso l’età adulta. Maverick Thinker diventa così anche un audiolibro, un podcast e una serie di performance che hanno accompagnato e anticipato l’uscita vera e propria del disco. Inciso poche settimane prima della generale chiusura mondiale presso i celeberrimi Sound City studios di Los Angeles, con la collaborazione del produttore Joseph Lorge (tecnico del suono che ha lavorato anche con Bob Dylan), la raccolta segue un umore più “americano” negli arrangiamenti, mai rinnegando tuttavia la sensibilità di partenza di Ruarri Joseph: il connubio genera un folk rock incalzante e animoso nell’apertura di Move On, dai connotati quasi sudisti nel pigro riff alla JJ Cale che smuove The Deep End, pronto a lasciarsi cullare da una patina soulful in Alive at Last e infilandosi in un acquitrino swamp con l’invettiva di Jesus Died a Young Man e le scure sfumature bluesy di Suddenly Scared (24 Storeys High).

La band mantiene un profilo istintivo, un suono livido e "dal vivo" che non nasconde mai gli spigoli (si veda la patina quasi grunge di Wake Up, il pressante incedere di Fiction e finanche l’esplosione punk di Reasons), ma al tempo stesso amplia lo spettro degli arrangiamenti con qualche oasi acustica, note di colore e sospiri nostalgici dettati da piano e accordion (nelle mani di Evan Vidar). Qui più che altrove è evidente l’influsso del soggiorno californiano, soprattutto nelle trame della ballate, che acquistano persino un respiro irish soul (Van Morrison e Mike Scott approverebbero di sicuro) nella trasparente poesia di Quiet Life e ancor di più nel piccolo gioiello finale rappresentato dalla stessa Maverick Thinker, sei minuti e mezzo sospesi su un ondeggiare elettro-acustico della band e impreziositi dall'intervento alla chitarra slide del produttore Joseph Lorge.

Le strade da Edimburgo, Scozia, a Los Angeles, California, riservano sorprese e sembrano comunicare in linea retta, anche quando meno te lo aspetti.


    



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