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Under:I'm
a rocker
di Fabio Cerbone (02/03/2020)
C’è ancora qualcuno là fuori
disposto ad ascoltare del buon vecchio rock’n’roll? Di quello che si tiene
miracolosamente in equilibrio fra melodia e chitarre, tradizione ed elettricità,
come ai tempi di una cosa chiamata heartland rock, ideologia della canzone
popolare da America profonda e strade infinite da percorrere. Potremmo
parafrasare così il titolo del secondo album solista di Sadler Vaden,
chitarrista e autore della South Carolina che in realtà con quella domanda
intende riferirsi più prosaicamente ai tempi moderni in cui siamo tutti
immersi, alla ricerca di un contatto umano dentro una società sempre più
guidata, nei suoi movimenti, dalle regole della tecnologia.
Piace invece pensarlo in altro modo il cuore di Anybody Out There?,
almeno da un punto di vista musicale, perché è difficile non innamorarsi
della sua essenza fatta di stile e di suono, che tributa il migliore omaggio
sentito in tempi recenti all’arte dello scomparso Tom Petty e dei fedeli
Heartbreakers, recupera la spavalderia del primo John Mellencamp, innalza
chitarre che attraversano i territori del southern rock, ma spesso tira
anche il freno a mano con la complicità di una buona melodia e una ballata
dal tepore pop. Vaden, vent’anni di gavetta e lavoro ai fianchi, ancora
relativamente giovane, ha accumulato l’esperienza di un veterano: musicista
di studio, produttore, si è fatto notare con la sua prima band locale,
Leslie, per uscire poi allo scoperto unendosi ai Drivin’N Cryin di Kevn
Kinney (formazione di culto del college rock sudista) e soprattutto entrando
nei 400 Unit di Jason Isbell, di cui è ancora parte attiva. Un ragazzino
nutrito a pane e rock’n’roll, che doveva solo trovare il tempo giusto
per maturare, e magari ottenere il sacrosanto spazio che si merita.
L’omonimo
album del 2016 era già una festa in piena regola, ma senza
uno straccio di promozione, mentre Anybody Out There? ha forse
l’opportunità per la prima volta di spingere in alto il nome del ragazzo.
E Sadler Vaden non si fa pregare, semmai sfrutta l’occasione agrappandosi
a un album più vario e ambizioso, firmando alcuni episodi in coppia con
i colleghi Audley Freed (ex Black Crowes) e Aaron Lee Tasjan, cercando
soluzioni ritmiche e inserti inusuali con tastiere e mellotron. Tutto
ciò, ben intenso, restando saldamente fedele all’idea di “classico” che
sprigiona ogni singola nota della sua musica. C’è il tiro spaccone di
Next to You a definire subito il
raggio d’azione, mentre l’altra faccia è rappresentata dal leggiadro volteggiare
di organo ed acustiche di Don’t Worry, con quei toni languidi da
ballata sudista.
I saliscendi di Anybody Out There?, musica e tono, sono già riassunti
qui e su tale linea proseguono per una buona metà del percorso: con la
piaciona Golden Child, per esempio, forse la sparata pop rock più
plateale e radiofonica, o con una title track che si aggroviglia in una
tempesta southern rock, nella sua ricerca del riff accattivante in adorazione
settentesca, bilanciate sull’altro piatto dai movimenti drammatici e sentimentali
di Curtains Call e di una Modern Times
avvolta in una dolce e distante nostalgia. I numeri migliori,
come tutti i prestigiatori del rock’n’roll che si rispettino, Sadler li
riserva però nel finale, con un trittico che offre lo scatto decisivo
per trasformare Anybody Out There? in un disco capace di offrire
un po’ di freschezza e giovane spregiudicatezza a questa vecchia idea
di rock’n’roll, un’ode plateale all’eredità degli Heartbreakers e del
Petty più californiano: Good Man
sarebbe un singolo fatto e finito, se vivessimo ancora nell’epoca di Full
Moon Fever; Be Here, Right Now il
pezzo più pregiato, con l’impeccabile girovagare della slide guitar; Tried
and True un rimuginare di certezze rock che guardano con fiducia a
quel tramonto colto in copertina.
Anybody Out There? Sì, c’è ancora vita caro Sadler: sappi che, almeno
da queste parti, rispondiamo con calore alla tua chiamata.