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american rock'n'roll di
Fabio Cerbone (29/09/2016)
Attacco
southern rock, sviluppo power pop, qualche variazione in stile Americana nel mezzo,
finale folkie e acustico. Ecco riassunto il senso del rock'n'roll secondo Sadler
Vaden, chitarrista neanche trentenne di Charlotte, South Carolina, con un
bagaglio di esperienze notevole per la sua età e un consiglio prezioso che ha
ricevuto da Little Steven in persona: ancora ragazzino, Vaden lo incontrò durante
un concorso per scritti a tema musicale e il buon Steven Van Zandt gli ricordò
una lezione eterna, "servire la canzone". Fedele all'insegnamento, l'omonimo Sadler
Vaden raccoglie dieci brani, suona stringato e brillante, senza picchi
di genio, ma con melodia e ganci pop a profusione, e soprattutto senza eccedere
in inutili solismi.
Per arrivare a questa sintesi Vaden ha studiato dagli
insegnanti migliori, un tirocinio durato qualche anno che lo ha messo sulla strada
giusta. Dopo avere abbandonato la sua prima rock'n'roll band locale, i Leslie,
nati dall'affetto degli amici e con il sostegno dei genitori, una coppia di hippie,
come racconta lo stesso Sadler, che lo ha educato portandolo ai concerti di Neil
Young e Willie Nelson (siano benedetti mamma e papà), il passo successivo
è stato entrare nei Drivin' N' Cryin' di Kevn Kinney, una piccola istituzione
del college rock sudista fin dagli anni Ottanta. Tre stagioni sulla strada, molti
concerti macinati, il titolo di direttore d'orchestra guadagnato di tappa in tappa,
prima di saltare sul treno in corsa dei 400 Unit di Jason Isbell. Con l'ex Drive
By Truckers e tra le più importanti voci del roots americano attuale, Vaden ha
partecipato alle incisioni del recente Something More than Free, unendosi alla
band nel tour successivo.
Scuola di vita, che si riflette in questo esordio
sulla distanza: già nel 2010 un primo ep, Radio road, per prendere le misure,
ma è questa decina di canzoni a certificare il valore del ragazzo, qui accompagnato,
fra gli altri, dai musicisti quali Audley Freed (ex Black Crowes), e Derry Deborja
(Jason Isbell & 400 Unit) e dalla produzione a tema di Paul Ebersold. L'esito
è un rock chitarristico da strada maestra che parte come fossimo in un disco di
Dan Baird (o dei Georgia Satellites, fate voi), riff spianati in You
Can't Have it All e svela gli amori manifesti per Big Star e Tom Petty
con il primo singolo, Get Your High e la successiva
Nobody Gives a Damn About Songs Anymore (verità inconfutabile, purtroppo).
La voce di Vaden, che ricorda vagamente il giovane Peter Case e ha un indiscutibile
nucleo pop, attenua l'aggressività delle chitarre e tiene sempre la bussola in
direzione della melodia: con Into the Woods finiamo dalle parti dell'ultimo
Ryan Adams, Chameleon è un impasto di indie
rock e Americana che appiccica insieme con successo acustico ed elettrico, prima
che Land of Refugee finisca inevitabilmente dalle parti dei Crazy Horse
(ma con una punta di Heartbreakers nelle vene) e esploda in un gran sferragliare
di chitarre nella coda finale. Broken Home e Greta assolvono al
dovere del buon folksinger (ma il sapore pop è sempre dietro l'angolo) mentre
End of the Road, organo hammond e pungenti riff sudisti, rimette le
ruote sull'asfalto, aria di seventies ed epica rock.
Bella rivelazione,
nonostante non abbia uno straccio di contratto e pubblichi tutto da indipendente.