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Under:smooth
folk&soul
di Fabio Cerbone (01/06/2020)
È tutto racchiuso nella voce
e nel ritmo, nel loro intrecciarsi misterioso e magnetico, il segreto
di U Kin B the Sun, titolo fintamente abbreviato che invece
riflette una musica sfuggente e intima, con una personalità così riconoscibile
da distanziare Frazey Ford da qualsiasi paragone con altre colleghe.
Una lunga attesa durata sei anni dal precedente Indian
Ocean, rivelazione e cambio di rotta importante per l’artista
canadese: così il nuovo lavoro prosegue nel solco di un rinnovato spirito
soul, rivistato però con un carattere tutto peculiare dall’ex voce delle
Be Good Tanyas. Sono lontani ormai gli esordi folk e la scrittura roots
che adombrava l’educazione musicale di questa ragazza cresciuta nel mezzo
della wilderness, fra gli sconfinati spazi del Nord-America, figlia di
impenitenti hippie che con tenacia ha cercato il suo spazio artistico.
U Kin B the Sun completa questa inevitabile maturazione, elaborando l’intensità
black degli arrangiamenti che l’aveva portata a collaborare con la storica
sezione ritmica della Hi records di Memphis (la backing band del reverendo
Al Green, per interderci), questa volta all’insegna di un suono più asciutto
e incentrato sul groove costante di basso e batteria e sulle coloriture
offerte da organo e pianoforte. Fuori la sezione fiati e più parsimonia
di chitarre elettriche, in favore delle pulsazioni ritmiche già annunciate
nell’apertura di Azad, manifesto dell’intero
album. Frazey raddoppia spesso la sua voce, moltiplicando l’effetto sognante
del suo canto, quel mormorio e quei gorgheggi che rendono le parole un
vero e proprio strumento aggiunto al sound creato dai Quiet Revolution,
il quartetto formato da Craig MacCaul (chitarre), Phil Cook (tastiere),
Leon Power (batteria) e Darren Parris (basso).
A volte la comprensione del testo non è neppure essenziale, quanto piuttosto
il sentimento che la stessa Frazey Ford sembra voler esprimere con il
tono della voce: le canzoni attraversano i territori delle relazioni umane,
personali e familiari, le complicazioni del rapporto con i genitori, inseguendo
la delicatezza di ibridi folk soul come U and Me, la morbida spiritualità
gospel di Let’s Start Again, la dura
schiettezza di Moterfucker, ma anche entrando nella cronaca violenta
del singolo The Kids Are Having None of It,
sulla questione dell’uso delle armi nelle scuole americane. La coerenza
dell’ambiente sonoro e della stessa interprete è la forza e volendo persino
il “punto debole” di U Kin B the Sun, che potrà apparire monocromatico
nel suo sviluppo, ma lavorando in modo costante sugli spazi, sulla carica
emotiva, sulle qualità quasi live della registrazione trova la sua chiave
di volta: si aprono così autentici bagliori, sospesi tra palpiti funk
e una sorta di versione intimista del southern soul in Money
Can’t Buy, nella sinuosa Holdin’ it Down, fino a toccare
persino un timido pulsare disco in Golden.
Il colpo di grazia è riservato al finale: la stessa U Kin B the Sun
è innodica, un’anima gospel soul che accresce i suoi gioiosi elementi
strada facendo, aggiungendo strumenti ed estasi vocale, la luce di una
nuova alba fatta di gioia.