Non arretra di un millimetro
dalle sue convinzioni il nostro Tom Russell, maestro dello storytelling:
quarant’anni e passa di carriera, una lista di album di cui cominciamo
a perdere la memoria, ma lui trova ancora le ragioni per raccontare l’altra
faccia del sogno americano, il richiamo della strada e della Beat Generation,
la stessa che lo ha ispirato sin dalla gioventù, quel fascino irresistibile
fra mito e racconto sociale che intreccia vicende umane di resistenza
e marginalità. October in the Railroad Earth è metà Johnny
Cash e metà Jack Kerouac, in un ideale incontro a Bakersfield, come riassume
con originalità e colore lo stesso Russell: le nuove canzoni possiedono
il battito del country fuorilegge (e in Highway
46 possiamo apprezzare un omaggio struggente a Merle Haggard…
“Dov’eri il giorno in cui Merle Haggard è morto?”, ci chiede Russell)
e l’immaginario intramontabile di On the Road, i suoni della frontiera
e i caratteri degni di un romanzo.
Un bel ritorno di fiamma, seppure l’ispirazione non avesse mai abbandonato
il nostro protagonista, forse soltanto un po’ dispersivo e persino troppo
ambizioso, aggiungo io, come era capitato di sottolineare in occasione
del celebrato The
Rose of Roscrae. Noi lo preferivamo nei panni più contenuti
e familiari di un album quale Folk Hotel, e chi avrà la pazienza
di accogliere una volta ancora la sua stentorea voce in October in the
Railroad Earth ne ritroverà il passo elettrico del roots rock e la sferzante
energia di quel country rock impolverato dal border messicano, territori
che Russell non affrontava con questa baldanza dai tempi di Borderland,
The Rose of San Joaquin o dei suoi lavori di fine anni Ottanta. A equipaggiare
l’album con questi orizzonti sonori ci sono le chitarre scalpitanti di
Bill Kirtchen (Commander Cody), che insieme alla pedal steel di
Marty Muse e alla partecipazione di John e Max Baca dei Los Texmaniacs
tinteggiano le ballate di Russell di un inconfondibile tonalità sabbia,
le ammanta di asfalto e polvere, innalzando l'inconfondibile boom-chicka-boom
(Johnny Cash il faro, e chi altrimenti?) incalzante della title track
o avventurandosi fra gli orizzonti rosso fuoco di Small
Engine Repair (da qui l'omonimo film irlandese del 2016),
ballata country dal passo epico e commovente che fa esplodere un racconto
da orgogliosa working class.
Suoni e parole sono quelle giuste, i soggetti scivolano tra cenni biografici
e rielaborazioni dal vivido tenore letterario, lo stesso che ha sempre
contraddistinto lo stile di Tom Russell, uno scrittore (e anche apprezzato
pittore, andrebbe ricordato) con la chitarra a tracolla. T-Bone
Steak and Spanish Wine e Back Streets Love ravvivano
ricordi di perseveranza in chiave acustica, la seconda in duetto con la
collega Eliza Gilkyson, When the Road Gets Rough ne traduce
il sentimento in un’atmosfera più elettrica e palpitante, ma sono gli
scorci narrativi di Isadore Gonzalez
e Red Oak, Texas quelli che ancora una volta colpiscono nel segno.
La prima è una bonaria danza tex mex che evoca la vicenda tragicomica
di un cowboy al seguito del famoso "Wild West Show" di Buffalo
Bill, la seconda una fotografia a passo honky tonk sui postumi della guerra
per due fratelli gemelli che hanno prestato servizio nell’esercito americano
in Medio Oriente.
L’ombra del "Man in Black" tanto evocata si materializza nel
finale, quando Tom Russell ricorda la prima canzone che da bambino ha
sentito cantare da Johnny Cash: una rutilante cover di The
Wreck of the Old 97 annuncia l’ultima stazione del viaggio,
fra leggenda e tragedia vera e propria, in attesa della prossima partenza,
ne siamo certi.