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folk
di Fabio Cerbone (01/06/2019)
Un percorso di coerenza (e
di coraggio) sta indirizzando i recenti passi artistici di Rhiannon
Giddens, che dopo la sorprendente opera collettiva Songs
of Our Native Daughters, ciclo di canzoni e traditional sulla
condizione femminile all’interno della lotta per i diritti civili e la
liberazione dalla schiavitù in America, approda adesso al manifesto musicale
e politico di There Is No Other. Album folk asciutto e quasi
austero nelle atmosfere - ma niente affatto accademico, semmai vissuto
con intensità interpretativa a sfruttando al massimo ogni anfratto della
scarna, evocativa strumentazione acustica - il disco in coppia con Francesco
Turrisi, musicista di area jazz con origini piemontesi ma da tempo attivo
a Dublino, è una dichiarazione di appartenenza al mondo, al concetto di
meticciato delle culture e quindi dei suoni che hanno attraversato i mari
e le terre.
Nell’incontro di suggestioni e richiami tra Meditteraneo, America e Africa,
There Is No Other sembra ammonirci sul fatto che “l’altro” non
è necessariamente un nemico, un estraneo invasore, uno straniero per definizione
e per condanna, ma, soprattutto nell’arte e nella musica, è un portatore
di linguaggi nuovi, che nel mischiarsi fra loro generano creatività e
contaminazioni. Il tempo sedimenta queste ultime, rendendo qui il concetto
di roots music qualcosa che supera l’idea dell’attaccamento alle proprie
radici, che in astratto non esistono se non come continuo incontro, elaborazione,
superamento: Rhiannon Giddens ne è consapevole e lucidamente propone un
viaggio che attraversa Oriente e Occidente, Nord e Sud del mondo, predendo
spunto dalla sua educazione folk blues e sposandola con le ritmiche e
il canto di altre culture.
Accanto ai brani originali, alcuni solo strumentali (la stessa There
Is No Other, per esempio), si attorcigliano le interpretazioni
di tradizionali della canzone gospel americana come Wayfarying Stranger,
fra il country rurale di I’m Gonna Write Me a
Letter di Ola Belle Reed e il retaggio afro-americano di Brown
Baby di Oscar Brown Jr. Vi rientrano, non sappiamo quanto complice
lo stesso Turrisi (ma ci piace pensarlo, con una punta di orgoglio) anche
l’Opera, con una scelta che ricade sul compositore Gian Carlo Menotti
(Black Swan) e più di tutto lo scorcio ancestrale della riproposizione
della Pizzica di San Vito, che Rhiannon
attraversa con impeto incredibile. Registrato in pochi giorni di sessione
a Dublino, riducendo al minimo le sovraincisioni per rispettare l’approccio
diretto della matrice folk, There Is No Other aggiunge la produzione
di Joe Henry come tessera finale di un puzzle di colori e umori
nei quali il concetto fondamentale resta l’idea di movimento, che si trasforma
in un abbraccio di pronunce e linguaggi.
La stentorea bellezza del soprano di Rhiannon Giddens emerge immediatamente
grazie all’esplicita Ten Thousand Voices,
accompagnando il seguito in un intrico di percussioni, banjo, piano, viola
e violoncello (Kate Ellis, l’unica ospite al di fuori del duo, presente
in quattro brani) che toccano scure movenze arabeggianti in Letter
ed espliciti caratteri meticci in Briggs Forró (dal nome di una
danza regionale brasiliana), leggiadria pianistica in Trees on the
Mountain e He Will See You Through e rintocchi gotici tra il
violino hillbilly di I’m on My Way
e il battito arcaico di Little Margaret.
Un disco importante, che trasmette un pensiero sul mondo e sulla musica
stessa, e che forse non ha paura di risultare - proprio in quest’epoca
di rifiuto, persino di scherno verso ogni espressione che sia alta, profonda,
complessa - un tramite verso un messaggio di comprensione dell’altro.