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classic rock revisited di
Fabio Cerbone (24/08/2018)
Cominciano
a fare sul serio The Magpie Salute, il progetto post-Black Crowes messo
insieme dai vecchi compagni alla sei corde Rich Robinson e Marc Ford con il bassista
Sven Pipien, tutti naufraghi di quella gloriosa (e litigiosa) avventura. L'omonimo
esordio discografico nel 2017 tirava le fila di uno stile, recuperando un repertorio
infarcito di cover e materiale ripescato dallo stesso songbook dei Black Crowes
o dalla carriera solista di Rich. Una scusa per rimettere in pista la banda. Oggi
invece High Water I annuncia una formazione che solca le acque aperte
in cerca di fortuna, con brani finalmente inediti e una personalità in netta via
di definizione, che in tutti i modi cerca di rendersi indipendente dal passato.
Innanzi tutto c'è stato un ridimensionamento della brigata: ridotti i
membri attivi che tratteggiano High Water I - primo episodio di una nidiata fertile
di composizioni che dovrebbe presto trovare nel 2019 un secondo capitolo - con
la conferma della nuova voce solista dell'inglese John Hogg (già nel progetto
Hookah Brown insieme a Rich Robinson), il tastierista Matt Slocum e la batteria
di Joe Magistro, tutti lanciati verso una rielaborazione di quei suoni che sono
da sempre linfa vitale per Robinson e Ford: sventagliate sudiste, hard rock dai
colori psichedelici, radici country blues, vibrazioni colte alla fonte degli anni
settanta per un classic rock proiettato nel 2018. Dopo un paio di stagioni sulla
strada, una crescita in pubblico con l'intenzione di definire le alchimie e i
ruoli all'interno del gruppo, i risultati sono evidenti: non inganni l'apertura
rock un po' spavalda e tutto sommato scontata di Mary
the Gipsy, canzone dagli intenti protestatari che scivola in un dejà
vù, perché il cuore di High Water I embra pulsare negli intrecci fra acustico
ed elettrico della stessa High water, di For the Wind e Color
Blind, nelle trame sixties e dalle colorazioni quasi pop di Sister
Moon, in una piaciona Walk on Water, nel country cosmico e californiano
di You Found Me e in quello più rurale di
Hand in Hand, dove pare di sentire una jam roots fra Faces e Humble Pie, episodi
che denotano una scrittura la più ampia possibile nel coprire l'arco costituzionale
della musica di cui Robinson e Ford sono da sempre innamorati.
Certo,
The Magpie Salute ci tengono a distinguersi dalla storia (ingombrante e importante)
che li ha preceduti: c'è da capirli, anche quando è innegabile che le ombre dei
"Corvacci" della Georgia tornino prepotentemente a galla, nonostante
tutti i dinieghi (il saluto alla gazza, Magpie Salute appunto, come vecchia tradizione
che simboleggia la scacciata degli spiriti cattivi). Accade nello sferragliare
di Send Me a Omen e nel pieno rifferama sudista
di Take it All, tra slide e un piano boogie che impazza, o ancora verso
il finale di Can You See: a grandi linee appaiono stralci sbucati dall'epoca
del capolavoro Amorica o dai nastri inediti poi finiti sul doppio The Lost Crowes,
e non si offendano i Magpie Salute se la sensazione è di una serie di discrete
outtakes. Resta comunque un'energia palpabile nelle incisioni e la voglia evidente
di ripartire, anche con un pizzico di nostalgia che non guasta.
"Arriviamo
in pace" afferma Rich Robinson, e noi con loro siamo disposti ad accettare questa
diversa e matura stagione.