L'idea
di "rimettere insieme la banda" è una tentazione alla quale non si resiste
facilmente. Si legge The Magpie Salute, ma si pensa subito ai Black Crowes
in formato ridotto, o in alternativa allargato e rivisto secondo le qualità dei
musicisti coinvolti. Di fatto tre sono i transfughi dai Corvi della Georgia, con
il fascino di un incontro che risale al periodo più fervido del gruppo: Rich Robinson
ritrova infatti la chitarra di Marc Ford e la coppia riforma quell'intesa
che rese immortale la produzione più ispirata dei Black Crowes, tanto è chiara
la relazione con album quali The Southern Harmony e Amorica. Insieme a loro anche
il basso di Steve Pipien, altro corvaccio in libera uscita, e una presenza purtroppo
che diventa un fantasma, quella di Eddie Harsch, tastierista storico dei Crowes,
qui alle sue ultime incisioni prima della scomparsa. A completare la ricca congrega
i nuovi arrivati: la voce inedita di John Hogg, il piano di Matt Slocum, la batteria
di Joe Magistro e una bella sequenza di voci, anche femminili, per ampliare il
tasso gospel sudista che anima questo progetto musicale.
Nati nei ritagli
di tempo della carriera solista di Rich Robinson, coalizzati attorno alle esibizioni
dal vivo nei familiari studi Applehead di Woodstock, New York, The Magpie Salute
sono esattamente un dolce amarcord per quelli che si sentono orfani della stagione
più brillante di casa Robinson, dopo i ripetuti litigi e le incomprensioni che
hanno messo fine (al momento) all'avventura dei Black Crowes. Senza Chris tra
i piedi e con una propensione alla jam che toglie la carica psichedelica in favore
del buon vecchio southern rock e di certi svolazzi jazz blues figli dell'Allman
Brothers band, Rich, Marc e compagni mettono insieme un disco di improvvisazioni,
strumentali, cover e brani rivisitati che ha il sapore di un biglietto da visita,
una prima affermazione di sè che attende possibili sviluppi.
Certo non
c'è nulla nei solchi dell'omonimo album che non abbia già tracciato in precedenza
un albero genealogico di influenze ben note: la stella polare del Sud, con gli
amati Delaney and Bonnie di Comin Home (più
volte eseguita dal vivo dai Crowes), i Faces della ballata Glad and Sorry,
la rivisitazione in chiave The Band del classico tradizionale Ain't
No More Cane, fino a quella Time Will Tell
(Bob Marley) che già capeggiava nel finale del citato The Southern Harmony and
Musical Companion, capolavoro dei Crowes, e qui rivista con una spinta un poco
più elettrica. Aggiungeteci i Pink Floyd di Fearless (da Meddle), un paio
di strumentali (War Drums e Going Down
South) che sfilacciano le maglie musicali del gruppo verso un rock cosmico
e settantesco, un singolo inedito e piacione che ha il sapore dell'hard blues
di inizio carriera (Omission) e avrete un'idea
della nostalgia sacrosanta che conduce The Magpie Salute.
Un
disco suonato con passione e tecnica invidiabili, va da sè, anche quando la sensazione
è di una prova generale, che nulla toglie e nulla aggiunge (What Is Home è
persino un brano che Rich Robinson ripesca dallo splendido e ignorato Before the
Frost, Until the Freeze) a quanto detto e affrontato nel recente passato di questi
musicisti. Il nocciolo della questione adesso è capire se esiste della materia
prima su cui lavorare o i dischi saranno soltanto uno scusa per andare in tour
e improvvisare in libertà.