File Under:
southern storyeller di
Fabio Cerbone (19/10/2018)
Un
senso di accettazione del tempo che passa e di rappacificamento con i propri errori
di uomo pervadono la scrittura di John Hiatt in queste ultime stagioni.
Aveva ironicamente negoziato i "termini della sua resa" con un album a trazione
blues e dai rilassati toni sudisti (Terms
of my Surrender), prima di farsi un poco da parte e aspettare i festeggiamenti
per il trentennale di Slow Turning (anche una sfortunata tappa italiana
quest'estate, per celebrarne la bellezza, insieme al vecchio compadre Sonny Landreth).
Ora riprende i fili di un discografia copiosa (tocchiamo quota ventitrè dischi
ufficiali, se abbiamo fatto bene i conti), e che con l'età della saggezza si era
persino fatta più prolifica e affannosa, provando a declinare un'altra volta gli
alti e bassi della sua anima di storyteller.
The Eclipse Sessions
nasce in maniera informale, pochi giorni di registrazione in una calda estate
a Nashville, fino a quando la luna si è eclissata il 21 di agosto del 2017 e John
ha pensato bene di prenderne in prestito la magia, per incollare a queste undici
canzoni un titolo che potesse svelarne l'atmosfera. Doveva essere un disco acustico
nella sua testa, afferma John, che in verità un'idea precisa di cosa incidere
non ce l'aveva affatto (e un po' si sente nei risultati), fino a quando non si
è ritrovato nello studio del produttore Kevin McKendree, con Kenneth Blevins e
Patrick O'Hearn, l'inseparabile sezione ritmica, e ha provato a lasciar scorrere
le note, per vedere se qualcosa restava attaccato alle corde della chitarra.
Ll'immagine
offerta da The Eclipse Sessions è esattamente questa, una raccolta un po' ondivaga,
sicuramente onesta con la storia del personaggio, che alterna brevi illuminazioni
elettro-acustiche dal tenue sapore roots (le migliori) e qualche spuntato graffio
rock che ne svela i limiti compositivi (One Stiff Breeze non lascia traccia)
e la voce increspata dall'età (Outrunning My Soul arranca). Per
fortuna il primo piatto della bilancia pesa di più, e attraverso il docile sobbalzare
southern country di Cry to Me e l'istantanea
classica di All the Way to the River Hiatt
mette in parte in salvo il raccolto. Il quale punta tutta la sua posta sulle confessioni
disarmanti di Poor Imitation of God, con quel suono memphisiano e bluesy
che evoca JJ Cale (protagonista la chitarra del giovane Yates McKendree e l'organo
di papà Kevin, convincenti anche nel primo singolo Over the Hill), e ancora
sulla profondità folkie di Aces Up Your Sleeve, il dolore compassionevole
di Hide Your Tears e i rimorsi del racconto finale di Rubber's
Highway.
The Eclipse Sessions è coerente con la linea
dimessa e di mestiere che caratterizza la più recente produzione del songwriter
americano, quell'idea insomma che le canzoni siano un flusso continuo, tante piccole
testimonianze dell'esistenza quotidiana, e poco importa se il sacro fuoco appartiene
al passato o se il suono ripercorre soluzioni semplici e accordi che ci sembrano
fin troppo familiari.