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canzoni e ferite di
Gianfranco Callieri (22/01/2018)
Si
è scelta un compito non facile Mary Gauthier, e cioè quello di comporre
le undici canzoni di questo nuovo Rifles & Rosary Beads - il nono
album di studio del suo percorso artistico - avvalendosi della collaborazione
di anonimi veterani di guerra, per l'occasione convinti dalla cantautrice di New
Orleans a mettere in musica e parole, senza mai averlo fatto prima, le piaghe
della vita e i ricordi dei conflitti, l'esperienza sul campo di battaglia e le
dolorose appendici umane riportate a casa, l'indifferenza della politica, la paura
di fronte alla morte e altre "bazzecole" purtroppo comuni a ogni confronto
bellico.
Benché l'atto creativo di esplorare la propria coscienza e di
ricostruire le macerie umane della vita di tutti i giorni con la forza di una
canzone d'autore onesta e diretta appartenga, da sempre, agli esiti migliori della
discografia della titolare, la volontà di allargare la prospettiva dalla dimensione
individuale a un'ottica collettiva e comunitaria deve aver comportato qualche
problema in più (etico, certo, ma non solo) e questo, forse, spiega in parte perché,
di tanto in tanto, nella scaletta dell'opera le melodie s'incartino, il fraseggio
si faccia legnoso, lo sviluppo dei brani paia soffrire un qualche affaticamento
e i testi stessi possano sembrare, rispetto al passato anche recente, meno immediati
e taglienti. Se infatti già il precedente Trouble
And Love, uscito ormai quattro anni fa, suonava come una specie di
cristallizzazione del linguaggio sin lì adottato da Gauthier, ossia un lento,
dolente e trasognato composto di country al rallentatore, cupe atmosfere folk-rock,
spettrali risonanze blues e speziature provenienti dai territori cajun della Louisiana,
Rifles & Rosary Beads può risultare, ma soltanto in prima battuta,
ancor più monocorde e risaputo nella sua ricorrente contrapposizione tra liriche
estremamente drammatiche e sonorità in cui il primato tradizionalista, affidato
ai rintocchi di pochi e affilati strumenti, viene ribadito senza tradire nemmeno
per un istante la consueta espressività elettroacustica dell'autrice.
Eppure,
essendo il lavoro, prima di tutto, una questione domestica; essendolo per il profondo
coinvolgimento emotivo di Gauthier e per la decisione di esplorare cosa significhi
fare ritorno alla vita civile dopo aver sperimentato la realtà della guerra (come
dice l'iniziale Soldiering On, "Quello che
ti salva in battaglia / Può ucciderti a casa"), occorre dare ai suoi elementi
più segreti e riposti il tempo di sedimentare ascolto dopo ascolto. Solo così
i ritmi marziali della prima parte e quelli più distesi della seconda, il country-blues
elettrico di I Got You Six e il gospel celestiale
di The War After The War, le cicatrici dell'armonica nel folk-rock stupendo
della magistrale Still On The Ride e le tastiere
discrete della raccolta Bullet Holes In The Sky, il countreggiare malinconico
dell'intensa title-track e l'incedere quasi soul della devastante Iraq
sapranno spogliarsi del loro carattere episodico per assumere, ancora una volta,
la ricchezza della testimonianza e della condivisione.
La franchezza con
cui Mary Gauthier continua a raccontare di traumi e fantasmi, stavolta di una
nazione intera anziché individuali, trascende le regole di genere per imporsi
alla stregua di una riflessione sentita, e universale, sui dubbi, le debolezze
e le fatiche di un'umanità perdente e angosciata. La quale non mancherà di riconoscersi
in queste nuove canzoni, sempre a un passo dalla maniera, eppure sempre in grado
di schivarla proprio in virtù della loro limpida semplicità.