Come
se ci trovassimo in un cortocircuito fra passato e presente, ma con lo sguardo
rivolto in avanti, una sorta di "Ritorno al futuro" del rock'n'roll, i War
on Drugs sono a modo loro la perfetta sintesi di questo momento storico. Suonano
classici e a quella idea di classicicità rock si rifanno apertamente, ma non sono
affatto tradizionali e conservatori nel senso più stretto del termine; non abbracciano
le cosiddette radici, eppure le evocano sulla distanza nella scrittura maestrosa
dei loro brani, che imbastiscono intime ballate dagli accenti dylaniani e cavalcate
urbane dal timbro springsteeniano; fanno due passi indietro per recuperare la
grandeur ritimica del rock anni 80, invaso da sintetizzatori e "big drum sound",
ma al tempo stesso lo proiettano nel gusto indie di queste stagioni.
Operazione
complessa, anche a rischio di essere fraintesa: cosa rappresentano davvero oggi
i War on Drugs di Adam Granduciel? La firma per la Atlantic e le sacrosante
ambizioni del gruppo dopo l'exploit di Lost
in the Dream, il loro manifesto sonoro, non hanno scalfito la direzione
intrapresa: da questo punto di vista le idee sono cristalline, gli obiettivi alla
luce del sole, proseguendo sul sentiero tracciato. Ogni cosa qui echeggia le intuizioni
del predecessore, soltanto ancora più grandi, solenni, enfatizzate, un'opera che
corre persino il pericolo di implodere su se stessa, che sceglie di presentarsi
con un "singolo" di undici minuti e passa, Thinking of
a Place, che è un cortometraggio in piena regola (si veda anche il
relativo video), un romanzo breve che chiarifica le aspirazioni della band. Granduciel,
trascinato nelle meditazioni intime dei suoi testi, a volte invero un po' generici,
si cincorda del sestetto che ha fatto la fortuna di Lost in the Dream, ma nasconde
armoniche, pedal steel, sax (meno evidente il ruolo di Jon Natchez) dentro un
manto di riverberi e synth rock che sembrano sbucare dritti dal 1985.
Up
All Night lo afferma forte e chiaro in partenza, poi c'è solo l'imbarazzo
della scelta, anche quando il motore del gruppo si abbassa di giri, in Knocked
Down, Strangest Things o nel finale dell'album, più pacato e sognante
con Clean Leaving e You Don't Have to Go. Si tratta anche di un
timido segnale di stanchezza, rispetto ad una prima facciata più esuberante, dove
la già citata Up all Night e l'avviluppo di squillanti tastiere e strali chitarristici
di Holding On e Nothing to Find affinano
l'arte War on Drugs così come si è venuta a creare dal lavoro precedente, con
una consapevolezza dei propri mezzi (Pain
è una ballata esemplare in tal senso, compresa la punta acida della chitarra nel
mezzo) che sarà forse il vero limite da scalfire per Granduciel e compagni nel
prossimo futuro. Nel loro caso però le divisioni temporali sembrano essere solo
luoghi comuni, tanto il loro rock appare fuori del tempo e attuale nello stesso
istante.