Commentando
due anni fa il suo promettente esordio in casa Anti, avevo lasciato la porta aperta
ad ambizioni maggiori e Christopher Paul Stelling pare avere colto il suggerimento,
confermando in Itinerant Arias le basi folk di partenza, il piglio
da hobo vecchio stile e nel contempo la freschezza e la forza trascinante di un
suono più elettrico e full band. Si caratterizza subito come un balzo in avanti
questo lavoro, concepito fra le miglia percorse e il costante lavorio sui palchi
di mezzo mondo, ispirato da ciò che Christopher ha visto e toccato con mano sulla
strada, ma poi reso uniforme da una settimana di registrazioni in un capanno fra
i boschi del Connecticut, dove Stelling si è rintanato insieme al gruppo creando
un folk rock dai toni agrodolci e drammatici.
Il punto di partenza, come
capitò di sottolineare in occasione di Labor
Against Waste, è il grande fiume della tradizione, un fingerpicking
alla chitarra che sa di folk rurale, di country blues appreso dai maestri Mississippi
John Hurt e Dock Boggs, accostato però alla sensibilità moderna di un cantastorie
abituato a suonare duecentocinquanta date all'anno, valicando stati e continenti
con il suo strumento a tracolla. Da qui nascono le riflessioni stesse sulla propria
condizione di musicista in The Cost Of Doing Business,
ballad che imprime un nuovo sound, scuro e ricco di un'inedita tensione elettrica,
nonché le visioni politiche di Sleep Baby Sleep e Badguys.
La prima si concentra sul tema dell'immigrazione e su ciò che Stelling ha provato
attraversando il canale della Manica, gettando lo sguardo sui campi di disperati
a Calais. Un dialogo intenso tra chitarra e violino, che sarà un leit motiv dell'album,
disegna le partiture da folk rock inglese, diventando uno dei brani più coraggiosi
e interessanti a livello strumentale. La seconda scaglia un'invettiva e fotografa
lo spirito dei tempi, di chi trasforma la realtà umana in un incubo e il mondo
in un posto meno sicuro. Possiede il passo di un folk ombroso dall'impronta elettrica
e graffiante, come se la chitarra di Stelling riflettesse il significato profondo
delle liriche, prima di liberarsi in un finale bandistico con crescendo di fiati.
Le intenzioni sono lucide, il tono meno accomodante e la gentilezza acustica
del passato è adesso "sporcata" da arrangiamenti più robusti, con intrecci costanti
tra violino e sei corde e un utilizzo accorto delle voci femminili, a sostegno
di quella principale di Stelling. Ciò non elimina le affabili qualità melodiche
della sua scrittura: Destitute apre le danze riallacciandosi idealmente
al passato; Oh, River mostra una delicatezza
che esalta il picking allo strumento; A Day Or A Lifetime
è sospesa e sognante, con un sapore roots avviluppato tra violino e piccoli rintocchi
ritmici; nel finale Red Door e A Tempest cercano poi di placare
l'energia che le ha precedute. È innegabile tuttavia che episodi come Stranger
Blues, chitarra bellicosa che gioca con un blues dalle spirali psichedeliche
e una voce urlata e drammatica, ci mostrino un'intensità sino ad oggi sconosciuta.
Il giovane troubadour ha fatto un po' di spazio all'energico songwriter.