File Under:lonesome
hobo di
Fabio Cerbone (01/07/2015)
Sempre
prodiga di folksinger dall'animo errante, l'America aggiunge l'ultimo figlioccio:
Christopher Paul Stelling, trentenne che riconosce la strada come sua unica
casa e dà forma alle sue ballate percorrendo miglia su miglia. Nasce in Florida,
ma è soltanto un dato statistico. Appena gli è possibile si mette in spalla una
vecchia chitarra con corde di nylon, ribatezzata "Brownie", e attraversa
mezzo paese, dal Colorado al Massachusetts al North Carolina. Ogni sei mesi fa
perdere le tracce, perché non vuole che la gente lo conosca sul serio, afferma
lui. Approda infine a New York, una tappa obbligata e quasi un luogo comune per
qualsiasi hobo che si rispetti. Nel frattempo lavora come commesso in una libreria
e trova qualche spicciolo per incidere due lavori indipendenti: l'esordio nel
2012 con Songs of Praise and Scorn, registrato in una camera mortuaria nel Kentucky,
il seguito, False Cities, un anno dopo.
Entrambi ottengono le attenzioni
della stampa, rapita dal timbro asciutto di Christopher Paul Stelling, dall'evocazione
di una scrittura folk che rimanda alla mitologia e alla religiosità del Sud e
nello stesso tempo allo storytelling di razza, che unisce con un filo rosso Mississippi
John Hurt con Bob Dylan e mille altri testimoni più o meno celebrati. Non vi è
dubbio che a colpire sia lo stile alla chitarra, un fingerpicking veloce e cristallino,
figlio della tradizione e come ammette lo stesso Stelling affascinato dalle figure
di John Fahey e Dock Boggs. Fuori dai soliti confronti, Labor Against Waste,
terzo capitolo e debutto internazionale per la Anti, con la partecipazione di
alcuni transfughi dei Low Anthem, è una raccolta concisa e disarmante che non
svela chissà quali sorprese, semmai corteggia il passato con una maturità e una
naturalezza rare al giorno d'oggi. Arricchito con mano gentile da qualche soffuso
e mirato intervento strumentale e ritmico, l'album fa della moderazione la sua
ragione d'essere, portando in primo piano chitarra e voce: l'effetto è avvolgente
fin dall'inizio, una Warm Enemy che è anche
il piccolo gioiello del disco, tallonata a stretto giro dal dialogo roots fra
violino e sei corde in Revenge.
Lo
stile di Stelling, che qualcuno a corto di fantasia ha persino avuto il coraggio
di accostare al bluegrass (non vi sono che risonanze nascoste e lontanissime…),
è un bilanciamento perfetto fra il nuovo verbo indie folk di queste stagioni (Scarecrow,
la gentile coperta di fiati e cori femminili in Burial
Shroud) e un più genuino approccio rurale (la scatenata marcetta acustica
di Horse), che passa persino per rievocazioni e chiare ascendenze di folk
angolosassone (la scura Death of Influence,
un ponte tracciato con la saga delle murder ballads, il crescendo drammatico fra
archi e picking chitarristico in Dear Best). Se un limite va trovato è
nella stessa ragion d'essere di un disco come Labor Against Waste, mai interessato
a rendersi appetibile per contratto, così rigoroso invece nel mettere a nudo l'animo
di Stelling. C'è spazio per ambizioni maggiori, ma intanto voce e chitarra possiedono
una forza che oltrepassa il dato anagrafico e qui siamo al cospetto di uno degli
esordi folk più interessanti dell'anno.