Black
Joe Lewis e combriccola al seguito hanno imparato a suonare. Potremmo sintetizzare
con questa battuta il nuovo corso di Backlash, un disco che non
rinnega nulla della sporcizia garage soul grazie alla quale il talento della black
music di Austin si era fatto notare agli esordi, ma la declina con più precisione
e malizia, cercando spesso il riff accattivante, l'arrangiamento più rotondo ed
efficace, oltre a una palese attitudine rock che contamina ogni singolo episodio
del del disco. Il confronto immediato è con il passaggio più rozzo ed eccitante
della sua discografia, quattro dischi e un ep a partire dalla rivelazione Tell
'Em What Your Name Is! nel 2009, quell'Electric
Slave che abbondava di fuzz, bassi poderosi e r&b ripassato nella carica
punk e nei juke joint più sudaticci del Mississippi.
Ripresa la sigla
Honeybears (ma non in copertina), band di supporto che Black Joe Lewis non ha
mai davvero abbandonato, Backlash è esattamente un "contraccolpo" che vive del
botta e risposta tra le chitarre dello stesso leader e di Michael Brinley e la
sezione fiati guidata da Derek Phelps (tromba) e Joseph Woullard (sax baritono),
lì dove James Brown incontra gli Stooges e gli Stones improvvisano una jam con
Sly Stone, fino a lasciare le briglie sciolte nella coda finale di Maroon,
sei minuti con strascico di riverberi e psichedelia in salsa soul. Una breve sintesi,
crediamo la più efficace possibile, per distinguere i punti cardinali che guidano
il percorso di Black Joe Lewis in Flash Eyed,
grasso rhytm'n'blues da cantina che pare annunciare la galoppata degli Honeybears,
prima di risolversi nell'insistente chitarra funky e fra lo scoppiettio di fiati
di Sexual tension.
Qualche sostegno ai cori, che si fanno bollenti
e sudisti, strumenti disegnati con linee più precise, persino uno svolazzo di
archi in Lips of a Loser, ma alla radice la vocalità sgraziata del protagonosta,
che resta un tratto irrinunciabile: Black Joe Lewis avrà evidenti limiti di estensione,
ma il suo shouting strozzato è comunque una caratteristica che gli evita la condanna
di finire tra i troppi estetti del nuovo soul di queste stagioni. Backlash rimane
un lavoro abbastanza irriverente e spaccone nei suoi incalzanti ritmi funky rock
(Freakin' Out, un titolo che è un presagio)
e messinscene garage (il pugno ben assestato di Shadow
People, la frustata rock'n'roll di Prison) da non mollare così
facilmente la presa. A questo giro andrebbe inoltre aggiunto quel briciolo di
coscienza sociale, "black power" e orgoglio civile che in episodi come
PTP, Global, Nature's Natural,
quest'ultima con impronta da classica ballata southern soul, mostra un autore
con il desiderio di unire energia elettrica e pensiero politico sul mondo.