Valerie June
The Order of Time
[Caroline/ Universal
2017]

valeriejune.com

File Under: soulamericana

di Fabio Cerbone (22/03/2017)

È un ciclo di canzoni da leggersi come una sorta di diario personale sul tempo quello che ci propone Valerie June nel nuovo album, giunto a quasi quattro anni di distanza da quel Pushin' Against a Stone che ne svelò il talento singolare. Se possibile più multiforme e speziato nella ricetta musicale, The Order of Time si inoltra nella contaminazione delle radici black dell'artista del Tennessee, provando a mediare fra antico e moderno, a rinnovare i linguaggi del soul, del blues e più in generale del folklore americano senza per questo stravolgere l'essenza di questa musica. È una questione di ritmi, di arrangiamenti, e naturalmente di una voce sui generis, fanciullesca e ipnotica in alcuni passaggi, senza dubbio lontana dai luoghi comuni di una autrice afro-americana cresciuta nella bambagia della tradizione gospel che in famiglia gli è stata tramandata.

Con un nuovo produttore alle spalle, Matt Marinelli, e una sessione tenutasi per contrasto nelle tranquille e innevate terre del Vermont, The Order of Time è un disco che dalle pulsioni del r&b e del soul sudista americano volge lo sguardo all'Africa, che dalle cadenze del folk più antico si avvicina alla sensibilità indie-Americana di oggi. L'esito è straniante quanto la vocalità di Valerie, più che mai protagonista insieme alla stessa famiaglia June, qui riunita (fratelli e padre, ex promotore di concerti gospel) in Shake Down, l'episodio più elettrico della raccolta e fortemente marcato dalle spirali blues africane. Tentativo che riesce anche nella magnetica Man Done Wrong, da qualche parte fra il Mississippi e il Mali, avrebbe detto Scorsese, e più in generale contraddistingue tutta la prima parte di The Order of Time, quella più avventurosa. Indagando il tema universale del rapporto fra vita e tempo, fra senso di perdita e contrasto con lo scorrere delle giornate, cercando un proprio equilibrio, Valerie June in qualche modo rilegge la stessa biografia personale, una lotta ostinata per emergere dall'indipendenza e affermarsi come artista.

Una Long Lonely Road dunque, come intona nella dolce cantilena dell'apripista, soffusa ballata che diffonde l'aria pigra del South e fa incontrare passato e presente della folk music, prima di immergersi più esplicitamente negli schemi del soul, con l'intreccio di organo, steel guitar e fiati di Love You Once Made. L'ordito sonoro e il meticciato dell'album sono le caratteristiche più affascinanti, esaltate dalla voce di Valerie e dalla sua narrazione del quotidiano e della battaglia con l'elemento del tempo. Accade nella cadenzata If And, prima che il disco entri in una zona più eterea e mostri forse una leggera flessione. È il volto "astrale" e sognante di Valerie June, da The Front Door a Just in Time, passando appunto per Astral Plane. Archi leggeri, un sound folkie più sfilacciato, non sempre in grado di proteggere la fragilità del canto stesso della June, che diventa impalpabile e infantile con With You.

Nella spinta finale The Order of Time recupera però la sua anima black e sarà anche un luogo comune, ma sembra restituire la dimensione più consona per Valerie June: nel classico dondolio soul di Slip Side on By, dialogo tra fiati e organo figlio della scuola dei Muscle Shoals, e meglio ancora nella conclusione solare, speranzosa di Got Soul, anche un violino e un banjo a tradire la formazione roots della musicista, e voci che si aprono alla rinascenza. La conferma che aspettavamo.


    


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