File Under:
soul power di
Nicola Gervasini (01/12/2017)
Non
so a quale versione o era della soul-music siamo arrivati, ma va detto che nella
"black music" (il termine pare ancora in uso nonostante il pensiero politically
correct lo sconsiglierebbe) sembra serpeggiare ancora qualche spinta creativa.
Il revival-soul degli anni 2000 sta forse mostrando la corda, ma è stato importante
perché ha archiviato il ventennio 80-90, in cui il genere ha inseguito sonorità
moderne con risultati non sempre esaltanti, lasciando così all'hip hop il campo
libero per fare da portabandiera del settore. Non tutti nascono Stevie Wonder
o Prince, e non ne nascerà più uno probabilmente, ma personaggi come D'Angelo
o Cody ChesnuTT hanno perlomeno trovato una originale formula di riassunto di
tutte le puntate precedenti.
È nello spazio aperto da questi nomi che
si infila il giovane Curtis Harding. Face Your Fear è il
suo secondo album, e arriva a dare conferma del suo talento dopo che Soul
Power del 2014 lo aveva portato alla ribalta. La definizione
di questa nuova soul-music la diede lui stesso, coniando il termine "slop'n'soul",
dove basta dire che slop indica gli avanzi del cibo per capire la filosofia di
base. Apertura totale a tutte le influenze di musica black e non solo dunque,
esercizi di stile al servizio però di canzoni con la C maiuscola. E qui sta il
punto a suo favore: Harding infatti non si limita come tanti nuovi paladini del
soul ascoltati in questi ultimi 20 anni a scrivere brani che sarebbero potuti
apparire in qualsiasi disco di Otis Redding o James Brown, ma cerca di essere
anche autore. Wednesday Morning Atonement
apre il disco alla grande, tra archi sintetizzati e chitarre distorte alla Bobby
Womack, e raggiungendo quel perfetto equilibro tra vintage e moderno che Lenny
Kravitz cerca inutilmente da anni. Il disco continua in piena atmosfera da film
Blaxploitation anni settanta, con Face Your Fear e On
And On, nulla che Curtis Mayfield non avesse già pensato di fare 40
anni fa, ma rigenerato con quello che poi il buon Curtis si è perso lasciandoci
nel 1999, proprio poco prima che il mondo musicale tornasse ad essere favorevole
ad un suo eventuale grande ritorno.
Go As You Are strizza l'occhio
alla funk-music dei Temptations dei primi anni settanta, la bella Till
The End torna ancora più indietro pescando nel sound Motown degli anni
sessanta (con tanto di campanellini alla Supremes). Ma il viaggio non è finito,
perché Dream Girl riposta la linea del tempo all'era disco, e Welcolme
To My World recupera il funky suadente dell'Isaac Hayes più sessualmente
attivo. Tanto stile, ma anche qualche melodia azzeccata e perfettamente radiofonica
come Ghost Of You, o sound cinematografici come una Need My Baby che
sembra sputata fuori dalla colonna sonora del serial Get Down. La produzione al
solito accorta e professionale di Danger Mouse è il valore aggiunto di
un album che ancora tiene viva la fiamma di un mondo musicale che da anni non
smette di influenzare tutto il pop mondiale.