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rock my soul di
Fabio Cerbone (02/06/2014)
Una
posa spavalda in copertina, quasi studiata a tavolino, un titolo che gioca più
o meno sulle stesse suggestioni, mettendo insieme un "potere nero" della black
music che riporta a stagioni lontane e una figura che sembra un compromesso fra
la riottosità del moderno hip hop e la profonda consapevolezza delle proprie radici.
C'è una parte di verità in tutto questo, ma anche una sostanza in Soul Power,
esordio discografico per Curtis Harding, che non si fa sommergere dalla
semplice immagine. Si tratta di uno dei più interessanti debutti in tema di riscoperta
soul, accostabile però al versante più rock ed elettrico del genere (per intenderci
lo stesso che ci ha regalato il canto sguaiato di Black Joe Lewis) e assai meno
al semplice tributo stilistico di alcune proposte retrò apparse di questi tempi.
Nato nel Michigan, cresciuto, come da copione, con un'educazione gospel
al seguito della madre in un coro di impronta spiritual, quindi trasferitosi ad
Atlanta, Curtis (un nome di per sé già impegnativo e forse segnato dal destino…)
aggancia il treno del revival garage rock, fa amicizia con Cole Alexander dei
Black Lips (piccoli campioni del genere da quelle parti), dando vita al progetto
Night Sun e nello stesso tempo presta la sua voce a collaborazioni con Cee-Lo
Green e Outkast, frequentando insomma quel mondo al confine tra hip hop, memoria
soul e naturale propensione al rock'n'roll. Esperienze che evidentemente non sono
rimaste estranee nella concezione di Soul Power, il quale tuttavia resta un album
più "classico" nella concezione e nei suoni, certamente poco apparentato con le
frange più attuali della black music. Non ci sono dubbi già dalla prime note di
Next Time, ballata tra acustico e riverberi
degli scaltri colori vintage: chitarre accattivanti che percorrono territori simili
alle trovate di Dan Auerbach dei Black Keys, una spruzzata di fiati, organetti
ad hoc e i risultati non tardano ad arrivare. Morbido e sensuale tra i falsetti
di Freedom, bluesy all'occorrenza in Castaway
e trascinante nel funky di Keep on Shining,
Soul Power è il disco che Lenny Krtavitz non riesce più ad azzeccare (o forse
tristemente non è più interessato a incidere) da molti anni a questa parte.
I
riferimenti sono tutti alla luce del sole, ma riescono a fermarsi un attimo prima
della pura e semplice imitazione: c'è ancora una connessione sonora forte, ma
Curtis Harding sembra più interessato a catturare una sfumatura, certi magnetismi
sul terreno comune della lunga tradizione della soul music, senza per questo diventare
una specie di diligente scolaretto. Ecco allora il tuonare garage di Surf
e più in generale le pillole sixties che sbucano in I
Don't Wanna Go Home e nella propulsiva Drive
My Car, segno che forse al prossimo giro potrebbe arrivare una definitiva
trasformazione elettrica come è accaduto al citato Black Joe Lewis (stretto parente,
si sarà intuito, anche se più grezzo e "punk" nello spirito).
Per ora ci godiamo in santa pace il groove di Drive
(moderna e classica al tempo stesso), il classicismo funky di Heaven's On The
Other Side e lo sferragliare potnete del basso in I
Need a Friend. Potere del soul, appunto: non fa una piega.