Disco
dopo disco, con una regolarità che è ormai un segnale di inattacabile ispirazione,
la voce di M.C. Taylor, in arte Hiss Golden Messenger, sta assumendo la
forma di un classico della tradizione rock americana di questi anni. Al crocevia
fra i linguaggi del folk e del blues, della memoria sudista e della canzone d'autore,
tra elementi soul e scrittura da degno rappresentante del cuore della provincia
americana, il lavoro di Taylor si assume il compito di raccontare un pezzo del
suo paese attraverso i sentimenti, le paure, la fede e i dubbi di un uomo che
ha messo nella musica tutto il suo futuro. Hallelujah Anyhow segue
di un solo anno il già illuminante Heart
Like a Levee, ribadendo la qualità del sonwriting e il buon momento
di forma della creatura Hiss Golden Messenger.
Nata una decina di anni
fa sulle ceneri del progetto alt-country dei Court & Spark, nel tempo l'avventura
della band ha assunto una forma più rotonda e brillante rispetto alla scarna essenza
folk degli esordi. Oggi la trasformazione è completa e Hallelujah Anyhow lascia
sbocciare gli amori di Taylor come autore e musicista, qui ancora affiancato da
Phil e Brad Cook nella stesura degli arrangiamenti e rinvigorito dalla nuova sezione
ritmica, soprattutto dal beat accattivante del batterista Darren Jessee (Ben Folds
Five). Ecco dunque nascere la commistione di heartland rock e southern soul che
guida le composizioni, qualcosa che sembra oscillare fra la schiettezza di un
novello John Mellencamp del Midwest, come effettivamente accade fra le pieghe
di Lost Out in the Darkness e I
Am the Song, e la liricità del migliore Van Morrison, evidente nella
grazia di John the Gun, ma soprattutto nell'omaggio nemmeno tanto velato
dell'irresistibile Domino (Time Will tell).
Una sezione fiati infonde l'agrodolce atmosfera di questo album, riflettendo
l'anima stessa dei testi, viaggio di luce e speranza nell'America in declino e
confusa, mentre un'armonica fende l'aria nei ricordi di Gulfport, You've Been
on My Mind. Facile anche scomodare, nei giochi di specchi con il passato,
certi passaggi dal cuore roots che hanno il sapore nostalgico della California
dei seventies (Jaw), delicatezze per piano e fiati che sarebbero piaciute
a Richard Manuel della Band (la clamorosa ballad Harder
Rain, la gemella più timida e affettata Caledonia, My Love),
intanto che l'eco dell'immensa strada americana e di un domani avvolto fra incertezze
e presagi di oscurità viene affrontato a testa alta, scorgendo la luce fuori dal
tunnel ("I've never been afraid of darkness, it's just a different kind of light")
nella sferragliante apertura country soul di Jenny of
the Roses.
Se il termine Americana ha un senso comunitario,
punto di incontro di sentimenti, suoni, stati d'animo di un paese, allora Hallelujah
Anyhow ne è la perfetta esaltazione.