Bernard Fanning
Brutal Dawn
[Dew Process/Universal 2017
]

www.bernardfanning.com

File Under: roots pop

di Fabio Cerbone (10/07/2017)

Un perfetto sconosciuto alle nostre latitudini, o quanto meno lontanissimo dal ruolo di prima stella del rock alternativo ricoperto in patria, l'australiano Bernand Fanning è un segreto custodito gelosamente da chi apprezza qual cantautorato post grunge nato nella seconda metà degli anni novanta, e che attraverso un incontro sapiente di melodia pop e accenti roots ha saputo ridare slancio al genere del foksinger confessionale degli anni settanta. Fossimo abituati alle facili sintesi, potremmo furbescamente definirlo un Ryan Adams dalla terra oceanica, anche se storia, stile, approccio di Fanning possiedono una tale solidità di scrittura da non temere punti di paragone. Brutal Dawn è il quarto lavoro solista, dopo lo scioglimento della principale creatura artistica dei Powderfinger, poco più di una leggenda in Australia, e riprende i fili di quel brillante folk rock dalle trame Americana e pop che ci avvea emozionato ai tempi di Tea & Simpathy.

Era il 2005 e il nome di Fanning si affacciava timidamente anche sul mercato internazionale, forse il primo album a sancirne le qualità di autore per un pubblico più vasto. Da allora però ci sono stati alti e bassi e una ricerca sonora che non sempre ha dato i frutti sperati. La reunion con i Powderfinger è durata lo spazio di un disco, mentre la pubblicazione del nuovo capitolo solista Departures aveva spiazzato non poco gli estimatori del suo lato più acustico. Con l'uscita di Civil Dusk nell'estate del 2016, Fanning è tornato all'ovile e Brutal Dawn non rappresenta altro che il secondo tempo di quel disco, una sorta di indissolubile legame dove il primo simboleggia sentimenti di lirismo, tenerezza e romanticismo e il secondo una risposta guidata dal desiderio di rinascita, riconciliazione con se stessi e crescita personale.

Entrambi registrati con il sostegno strumentale dei Black Fins e la produzione di Nick DiDia (Pearl Jam Bruce Springsteen, Aimee Mann), con materiale che proviene dalle esperienze di soggiorno in Spagna, Galles e Australia, sono raccolte di canzoni con un sound coerente e cristallino, che oggi, dalle movenze per violino e chitarre acustiche di Shed My Skin alle trame pop sfavillanti del singolo Isn't It a Pity riportano a galla il Bernard Fanning migliore, uno al quale non fanno difetto emozione e chiarezza nel timbro della voce, qui ribadito nella scelta di brani dalle inflessioni elegiache e per la maggior parte folkie come How Many Times? e Say You're Mine, con tanto di pedal steel, e ancora nel dolce cullare rootsy di Somewhere Along the Way e No Name Lame, in una pianistica melodia che sottende la splendida In The Ten Years Now e che sarebbe piaciuta davvero tanto al Ryan Adams di Gold.

Nella ingannevole semplicità di fondo delle melodie si nascondono suoni e arrangiamenti cesellati al millimetro, ballate scritte ad arte per esaltare il tono del cantato e trasportarci nelle risposte che Brutal Dawn sembra offrire al suo predecessore, fino alla magistrale chiusura di Letter from a Distant Shore.


    


<Credits>