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came to Nashville di
Fabio Cerbone (01/03/2016)
Non
poteva finire così la storia di uno dei migliori talenti espressi dalla fucina
alternative rock dei primi anni novanta, una vicenda artistica accartocciata su
se stessa tra smagrite ballate acustiche e solitudini folk, quelle che caratterizzavano
il precedente Walking
on The Green Corn. Si trattava probabilmente di uno dei punti più bassi
di una carriera solista sempre troppo ondivaga e indecisa sul da farsi. Con il
senno di poi quel disco era soltanto il primo tentativo di un ritorno alle radici,
che oggi è soprattutto un atto di riscoperta e una rinascita. Trasferitosi da
qualche stagione in Tennessee, arrivando dal grande deserto umano di Los Angeles
in California, come egli stesso lo descrive, Grant Lee Phillips ha cercato
una riconciliazione con le sue origini: il padre e la madre emigrati rispettivamente
dall'Arkansas e dall'Oklahoma, con Nashville nel mezzo a fare da collante di tutto
questo immaginario.
The Narrows, esordio in casa Yep Roc,
è l'esaltazione di questa nuova prospettiva, musicale e di vita, perché prende
l'anima folk di cui sopra e la riveste di brevi slanci elettrici e coloriture
Americana che donano alla musica di Phillips una cadenza classica. A quelli che
si sono irrimediabilmente innamorati della sua voce romantica, dritta dall'heartland
della nazione, grazie alla storia musicale dei Grant Lee Buffalo, sembrerà persino
uno sviluppo di maniera: niente di più sbagliato, questo è semmai lo sbocco naturale
di un autore che ha sempre scritto con in testa la tradizione, ora diventandone
un ambasciatore moderno. Entrato negli Easy Eye Studio di proprietà di Dan Auerbach
con l'essenziale dinamica di un trio - la batteria dell'amico Jerry Roe, colui
che è stato il responsabile di questo viaggio nashvilliano, e il bassista Lex
Price - Grant Lee ha giocato con la strumentazione e il feeling da modernariato
a disposizione, mettendo insieme passato e presente della sua biografia. Così,
The Narrows è un disco attraversato da ricordi personali e annotazioni geografiche,
da luoghi familiari ed emozioni a essi legate: il manifesto è lo scroscio elettrico
della ballata iniziale, Tennessee Rain, che
potrebbe appartenere, come peraltro la serafica Yellow Weeds, all'ultima
coda della carriera dei Grant Lee Buffalo.
Per le mani rigiriamo dunque
il disco roots per eccellenza della sua discografia, si sarà capito, fratello
gemello di quell'ottimo e isolato Virginia Creeper, che ci fece innamorare ancora
di lui qualche anno fa: lo stranito galoppo rockabilly di Loaded
Gun, l'alternative country sudista, tra banjo e sospiri elettrici,
di Rolling Pin, e quello da grandi orizzonti, con pedal steel e sound desertico
annesso, di Just Another River Town, fino
alla comparsa di Dave Roe - padre del batterista Jerry ed ex bassista storico
di Johnny Cash - in una No Mercy in July dal garbato portamento roots.
Nel complesso sono una dozzina di canzoni forbite ed essenziali al tempo stesso,
un saliscendi di folk rock e morbide venature country che non snaturano mai lo
stile personale di Phillips, il suo tono confessionale. Resta suo l'inconfondibile
timbro sul trottare acustico di Smoke And Sparks,
o nella malinconia dolciastra di San Andreas Fault e tra le pieghe rurali
dei ricordi che affiorano in Moccasin Creek,
violino e mandolino a tracciare la melodia.
L'altra Nashville esiste davvero
insomma, così afferma Grant Lee Phillips, o quanto meno si è concretizzata nelle
corde del suo sentire musicale, e sulle tracce di un viaggio che ispiratori come
Bob Dylan o Neil Young hanno già compiuto prima di lui, è diventata una nuova
casa per le sue canzoni. Bentornato.