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still searchin' for the Ghost of Tom Joad
di
Nicola Gervasini (11/07/2016)
Sullo
stato dell'arte dei Felice Brothers in questa metà degli anni dieci vi
rimanderei al sunto di carriera fatto in occasione del precedente album Favorite
Waitress del 2014. Anche solo per ribadire che il corso intrapreso
dalla band con quell'album pare essere quello definitivo, ben confermato dal nuovo
Life In The Dark. La sbornia modernista del 2012 è dunque sotterrata
e dimenticata: non esiste più un mercato da conquistare, e forse neanche più un
mondo artistico da riscrivere, e allora perché non chiudersi in un garage affittato
per l'occasione nella Hudson Valley, trasformandolo in uno studio di registrazione
grazie a confezioni di uova, proprio come si faceva artigianalmente "ai vecchi
tempi".
Ian Felice, assecondato da una nuova line-up ormai consolidata
intorno al fratello James, sempre inchiodato sulla sua fisarmonica, il bassista
Josh "Christmas Clapton" Rawson, il violinista Greg Farley e il batterista David
Estabrook, continua un suo viaggio personale nella tradizione americana, ponendosi
forse come la formazione attualmente più vicina alla lezione purista della Band
di Robbie Robertson, pur con le debite distanze. Realizzato con il gusto dell'improvvisazione
e di un rural-sound iper-conservatore, Life In The Dark è un piccolo excursus
nelle contraddizioni dell'America moderna, lette con taglio tra il cinico e il
sarcastico. Prima parte dedicata a brani brevi: il singolo posto in apertura
Aerosol Ball è accompagnato da un video (vedi qui di seguito) fatto
da spezzoni di filmini su come si divertivano grandi (con una svestita pin-up
vintage) e piccini (giochi di strada di bambini) in America anni fa, ed è un brano
che si barcamena tra l'ironico (Every tooth in Duluth is Baby Ruth-proof) e il
nostalgico con grande maestria.
Sul duello fisarmonica-violino è basata
anche la successiva Jack At The Asylum, mentre è con la title-track che
si ha il primo acuto del disco, ballatona roots di risaputa ma pur sempre efficace
fattura, così come anche la più difficoltosa Triumph
'73 che la segue. Con Plunder arriva
il primo azzardo elettrico, con la chitarra di Ian che si lancia in un assolo
volutamente stonato, momento quasi rock che si chiude nel minuto e mezzo strumentale
di Sally. Il disco prende il volo nell'ipotetico lato b: tre brani che
mostrano tutta la grandezza di songwriting di Ian, prima con una Diamond
Bell che sembra essere spuntata dalle sessions di Desire di Dylan,
lungo racconto di frontiera che anticipa la line-dance di Dancing on the Wing.
Finale in tono mesto con Sell The House, storia
di miseria di cent'anni fa ancora buona per raccontare un presente basato su un
futuro per nulla roseo.
L' America dei Felice Brothers è in fondo ancora
la stessa raccontata da Furore di Steinbeck, una continua lunga ricerca di una
felicità sottratta dagli eventi e da una società che da terra promessa sta sempre
più diventando l'inferno da cui fuggire.