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new traditionalists di
Nicola Gervasini (01/07/2014)
Facciamo
finta che non sia successo niente dal 2009 ad oggi, e che Favorite Waitress
sia l'atteso seguito di Yonder
Is The Clock. Potremmo così parlare della continuità di una band che
ci aveva davvero fatto sperare che si potesse coniugare l'appeal indie con la
tradizione roots, magari con una sostanza in termini di songwriting un po' meno
vacua di band di maggior successo come Low Anthem e Mumford & Sons. Ma non si
può poi ignorare come i Felice Brothers abbiano ormai perso il momento
buono per diventare un gruppo di prima linea, a causa di un disco decisamente
sbagliato (Celebration,
Florida), di troppi litigi interni che hanno rischiato di far finire
la loro storia, e di una serie di inutili uscite only for fans che hanno solo
alimentato la confusione (i Mix Tapes del 2010 e le registrazioni casalinghe di
God Bless You, Amigo del 2012). Per cui Favorite Waitress diventa il nostro disco
del mese perché vogliamo festeggiare il ritorno a casa di una sigla che continuiamo
a considerare importante, ma è evidente che la rivoluzione non passa più su queste
frequenze.
L'album ha la particolarità di essere il primo disco della
band inciso in un vero e proprio studio di registrazione, conservando però il
tentativo di ricreare fittiziamente l'idea di una suonata casalinga, tra cani
che abbiano e voci in sottofondo. Ormai basati sul duo Ian e James Felice, con
il batterista Simone definitivamente partito per avventure personali (con successo,
vista la qualità dei suoi dischi anche recenti), i Felice Brothers si avvalgono
di tre strumentisti capaci come Greg Farley, Josh Rawson e David Estabrook per
un disco che è una vera e propria reazione stizzita alle fallimentari aperture
all'elettronica del precedente Celebration, Florida.
Bird On A Broken Wing, il sensazionale brano che apre la raccolta,
è una dichiarazione d'intenti, una ballata vecchio stampo da Band relegata nella
cantine di Big Pink, con tanto di dedica a Pete Seeger per non sbagliarsi sull'epoca
di riferimento. Cherry Licorice invece porta
un clima di festa, ma resta una festa di provincia, lontana dai salotti alto-culturali
di città, dove questi Felice Brothers verranno probabilmente schifati come si
disdegna il bifolco che viene a vendere l'insalata al mercato della domenica.
Favorite Waitress è tradizionalista anche nella copertina, a cui manca
giusto una cherry pie per fare il pieno di immaginario da "America Old Style".
Perso il coraggio di osare che era di Simone Felice, Ian e James assaltano il
pubblico rimasto sintonizzato sulle loro onde con un disco che è ancora più conservatore
di quelli dei Black Crowes di fine anni zero, e che non prova neanche più a fare
finta di poter essere di moda. Possono così concentrarsi a scrivere un pugno di
buone ballate folk (Meadow Of A Dream, Chinatown),
infarcendole magari di quegli arrangiamenti un po' storti a cui ci hanno sempre
abituati (i cori ubriachi di Lion e Saturday
Night, l'orgia di organi, campane e violini di Constituents)
e di qualche nuova variazione sul tema (il giro hard-blues di Woman
Next Door). Non tutto gira come dovrebbe (Katie Cruel davvero
non si comprende), e il clima rilassato - per non dire a volte fin troppo volutamente
scazzato - alla fine lascia un senso di provvisorietà al progetto, ma è forse
anche il suo fascino. O, perlomeno, resta affascinante per noi, che a questi ritmi
blandi e suoni da "rocking chair on porch" ci siamo più che abituati.