File Under:Cow-punk
resurrection di
Nicola Gervasini (02/05/2015)
Ha
ormai ritmi da scafato veterano che non deve più dimostrare nulla a nessuno la
produzione discografica di Dwight Yoakam, incontrastato re della country
music che conta in termini qualitativi (sebbene anche come vendite il nostro spesso
compete con le big star più commerciali di Nashville, come ad esempio quell'Eric
Church che lui stesso ha appena seguito come spalla in un lungo tour). Second
Hand Heart arriva tre anni dopo 3
Pears, che già chiudeva un lunghissimo periodo di silenzio, portandoci
quaranta minuti di puro Yoakam-sound, dopo le piccole deviazioni pop imposte dalla
produzione di Beck nel lavoro precedente. Qui invece è impossibile ravvisare grandi
novità nel sound , forse solo più rock-oriented del solito, ma senza dubbio siamo
di fronte ad uno degli episodi più freschi, energici e pienamente riusciti della
sua carriera.
Yoakam non lesina sudore, sia quando lascia le chitarre
a briglia sciolta per esaltare l'impatto di un brano perfetto nella sua semplicità
come She (nulla a che vedere con l'omonima
canzone di Gram Parsons), sia quando anche in occasione di ballate romantiche
come la splendida Dreams Of Clay tiene comunque
alto ritmo e livello dei suoni. E' un disco nato per la radio e per essere ascoltato
in macchina, con chitarre ben marcate a coprire il rumore del motore, e il consueto
mix di romanticismo e passione da country-outlaw. Nelle interviste di presentazione
all'album lo stesso Yoakam ha voluto rimarcare come il disco vuole essere un omaggio
al cow-punk degli anni 80, vera e propria ispirazione per i suoi esordi, e cita
il "senso di immediatezza" di band come Jason & The Scorchers, Lone Justice e
Rank & File per far capire da dove arriva il wall of guitars della tilte-track
ad esempio (e avrei aggiunto anche i tardi X con Dave Alvin nel motore come punto
di riferimento) o della micidiale serie rock and roll formata da Man Of Constant
Sorrow, Liar e The Big Time.
Anche
sul piano della scrittura il disco sembra avere una marcia in più del suo predecessore
(...ma non si ricordano dischi brutti nella sua carriera), fin dalla programmatica
apertura di Another World o anche nel middle-tempo
di Believe. Dwight non è mai stato un autore particolarmente prolifico,
e anche in questo caso scrive solo otto brani, ricorrendo a due cover che paiono
tuttavia ottimamente integrate nel contesto, sia la splendida velocissima resa
del traditional Man Of Constant Sorrow (mille
versioni si potrebbero citare di questo brano, fin da quella presente nell'esordio
di Bob Dylan), oppure V's Of Birds, opportuna chiusura sentimentale scritta
dal suo fido chitarrista Anthony Crawford. La produzione è scintillante
ed è affidata al vecchio Tom Lord-Alge (la lista delle sue collaborazioni sarebbe
troppo lunga anche per cercarne un significativo sunto), la band gira sempre alla
perfezione, e non c'è altro da dire: finiti i 40 minuti avrete voglia di ripartire
subito da capo. Si può forse chiedere di più ad un country-record nel 2015?