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California dreamin' di
Fabio Cerbone (01/06/2015)
Alla
prova del nove i californiani Dawes superano l'ostacolo e fugano gli ultimi
dubbi rimasti sulle qualità della band, offrendo forse il disco più spontaneo
della loro carriera. Non che avessero qualcosa in particolare da dimostrare, il
talento era cosa risaputa per la formazione dei giovanissimi fratelli Taylor e
Griffin Goldsmith. Eppure il precedente Stories
Don't End aveva rotto in parte l'incantesimo, stiliticamente impeccabile
ma al tempo stesso fermo sul sentiero passato, quando i Dawes potevano quasi ambire
a diventare i nuovi Jayhawks della loro generazione, giusto per iscriverli in
precise coordinate di stile e ispirazione. Per molti resteranno ancora, e forse
del tutto legittimamente, un piacevole amarcord del sogno West Coast, con i santini
di Jackson Browne (che peraltro li tenne a battesimo in passato, partecipando
al secondo capitolo, Nothing Is Wrong) e degli Eagles nella tasca dei pantaloni:
non sarebbe un'offesa e neppure un'imprecisione, perché la musica dell'evocativo
All Your Favorite Bands è ancora sommersa da quegli orizzonti,
da un folk rock brillante che apre ai grandi spazi americani, mischiando melodia
pop e chitarre rock libere di scorazzare per la Pacific Coast Highway.
Solo
che la produzione "Made in Nashville" di Dave Rawlings (che si porta appresso
anche la compagna Gillian Welch ai cori) questa volta ha intuito le qualità strumentali
del gruppo, l'approccio spontaneo che spesso era stato sacrificato, scegliendo
oggi un suono live in studio, un maggiore spazio di manovra, lo stesso che ha
portato alle lunghe cavalcate di Somewhere Along the
Way, I Can't Think About It Now
e Now That It's Too Late, Maria. Sono guarda
caso i tre vertci del disco: la prima traccia è un saliscendi di dolcezze californiane,
tipicamente Dawes dovremmo dire ormai, con immancabile contorno di armonie vocali
e il pianoforte di Tay Strathairn a dettare l'agrodolce nostalgia che invade il
songwriting di Taylor Goldsmith; la seconda un gioiellino di riverberi
soul e morbidezze pop rock, spinta a vele spiegate dalle voci della Welch e delle
ospiti McCrary Sisters; la terza un'autentica cavalcata di quasi dieci minuti,
ballata soul confessionale che mette insieme Dylan&The Band, l'amato Jackson Browne
e le visioni californiane, attraverso continui dialoghi fra organo e chitarra,
in un'atmosfera dolce e rilassata che simboleggia il nuovo corso della band, completamente
votata all'improvvisazione e rifuggendo il più possibile da ritocchi in sala d'incisione.
Questa dunque la sensazione generale che rimanda All Your Favorite Bands,
album che suona in presa diretta e stringe un ottimo compromesso fra il rock immediato
di Things Happen, primo gioioso singolo che
occhieggia ad accattivanti soluzioni "indie" senza rinnegare il cuore
della loro musica, e una Don't Send Me Away che immaginiamo già sbucare
da una falla della storia, facendo faville in duetto con al fianco Stevie Nicks.
La famiglia Goldsmith se la cava alla grande anche da sola e l'abbraccio delle
voci conquista d'acchito, organo che smussa gli spigoli, mentre la chitarra è
affrancata nel finale su note più acide. Il fluire elettrico della sei corde di
Goldsmith è un altro dei tratti caratteristici del disco, più sciolto nel prendersi
qualche libertà strumentale, come nella jam al centro di To be Completely Onest
e nell'onnipresente intesa con l'organo di Strathairn. Tutto ciò senza mai abdicare
alla solarità delle melodie, alle passioni evocate nelle liriche, a quelle carezze
vocali che diventano quasi insistenti (peccato veniale, se costruite con la semplicità
dei Dawes) cammin facendo, fino a farsi scintillanti nel titillare rock di Right
on Time.
I Dawes hanno parlato di una "gioia di vivere" nel
descrivere queste canzoni: All Your Favorite Bands, a partire dal verso omonimo
della title track, conferma esattamente questa innocenza, che traspare da ogni
singolo minuto dell'album.