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american folklore di
Fabio Cerbone (05/03/2014)
Abbiamo
perso qualche capitolo della vicenda artistica e umana di Alynda Lee Segarra,
lo ammettiamo, dopo che Young
Blood Blues fece capolino tra le sorprese roots del 2010 in una totale
atmosfera di indipendenza rispetto ai circuiti più battuti dell'Americana. C'è
da dire che la stessa Segarra, ormai unica attrice al centro del progetto Hurray
for the Riff Raff, sempre aperto a collaborazioni e cambi di personale, ha
fatto ben poco per destare nuove attenzioni: il suo percorso, dall'omonimo lavoro
dell'anno successivo al più recente Look Out Mama, sembrava cristallizzarsi su
un sentiero di coscienzioso recupero della tradizione folk, intesa nel senso più
ampio del termine.
Dischi insomma intriganti, anche o forse soprattutto
per il timbro vocale dimesso eppure ricco di fascino della stessa protagonista,
ma un po' ingessati in una formula che non si decideva ad uscire dal dilemma:
semplice estetica della roots music, revival insomma, o qualcosa di più personale
e in grado di confrontarsi con il tempo che viviamo. Dubito che Small Town
Heroes possa scompaginare le carte in tavola, ma è interessante notare
come il passaggio alla intraprendente ATO, un'isola felice tra libertà indie e
successo major per così dire, abbia già offerto alla musica del collettivo Hurray
for the Riff Raff un'esposizione (e soprattutto un generale plauso della critica)
che probabilmente gli sforzi precedenti non avrebbero mai potuto raggiungere.
Merito dei contenuti? Si e no, nel senso che il viaggio a cavallo del
folclore americano di Alynda Lee Segarra e dei compari (citiamo quanto meno gli
otitmi Casey McAllister e A.P. Baer) non giunge molto distante dalle conquiste
precedenti: siamo sempre avvolti in un incantevole suono rustico, che dalla New
Orleans in cui la Segarra risiede da qualche tempo (di origini portoricane, hobo
per scelta, ha girato mezza America fin da ragazzina, suonando letteralmente per
strada) si spande per i mille rivoli della grande nazione, raccogliendo scampoli
di folk appalachiano in Blue Ridge Moutain,
ruspante musica hillbilly in End of the Line,
accenti sudisti fra gospel e rock'n'roll primordiale in No One Else e I
Know It's Wrong (But That's Alright), morbidezze soul nella notevole
St. Roch Blues, toccando infine le dolci
corde di un morbido country blues nella rivisitazione di The New SF Bay Blues
(il riferimento è al classico di Jesse Fuller). In Crash on the Highway
e Good Time Blues (An Outlaw's Lament) il
principale riferimento sembra essere poi Gillian Welch, ed è inevitabile cozzarvi
contro per Hurray for the Riff Raff, frequentando questi lidi sonori: volendo,
con più personalità, ci sarebbero anche la delicate ambientazioni di Levon's
Dream e della stessa title track, che lavorano in sottrazione con poche pennellate
di chitarra, un violino o un organo in lontananza.
Rimane il problema
di molte di queste produzioni: scambiare il suono, l'atmosfera, l'estetica per
l'essenza