Jolie Holland
Wine Dark Sea
[
Anti/ Self
2014]

www.anti.com/artists/jolie-holland

File Under: blues velvet

di Gianuario Rivelli (02/06/2014)

Dopo il folgorante avvio di carriera con gli acclamati Catalpa e Escondida, qualche perplessità su di che pasta fosse veramente fatta Jolie Holland era emersa. Le uscite successive non sempre avevano avvalorato quella entusiasta impressione della prima ora e, absit iniuria, qualche accusa di monotonia e manierismo l’aveva colpita non del tutto a torto. Lungi da me atteggiarmi a psicanalista, ma si direbbe che qualche dubbio sia venuto anche alla chanteuse di Houston, come se anche lei sentisse di dover dare uno scossone e mettere finalmente un punto fermo sulla sua caratura. Non poteva bastare più né a lei né a noi il suo folk scarno e levigato, un po’ troppo allergico ai cambi di passo; la sua musica andava sporcata di blues, imbrattata di scrosci elettrici, straniata dal jazz.

Per centrare l’obiettivo neanche le serve un produttore, ma solo la preziosa collaborazione di Doug Wieselman (sue tutte le incursioni degli strumenti a fiato) e Indigo Street, esponenti della scena newyorkese più sperimentale. Wine Dark Sea incarna alla perfezione questa svolta programmatica: non immediatamente accessibile, stratificato, ipnotico, è uno di quei dischi che chiede tempo ma lo ripaga tutto e con gli interessi. Partite dal primo singolo, Dark Days, e non vi sembrerà di riconoscerla o penserete che Jolie sia stata vittima di un rito voodoo per come affronta questa orgia di blues, deliri elettrici, suggestioni coltraniane e ritmiche languide. Per non parlare di Palm Wine Drunkard in cui la Holland segue mastro Waits (peraltro nume tutelare dei suoi esordi) su un sentiero sulfureo in cui piano, violino e fiati borbottanti vanno sottobraccio alla sua voce sensuale creando un cortocircuito a dir poco godurioso. Non tira una bella aria neanche nel brano gemello, Out on the Wine Dark Sea: sembra di essere su una zattera in un bayou della Lousiana in piena notte, ipnotizzati da una sezione ritmica quasi africana che sbalordisce.

Il controcanto alla suddetta tempesta lo fanno la carezza jazzata All the Love in cui la sua voce d’ambrosia viene d’un tratto sorpresa dal clarinetto di Wieselman e Saint Dymphna, l’altra faccia, quella luminosa e dolce, del blues. Non manca il country classico (con tanto di fischio in apertura!) di Route 30, tanto per non perdere di vista le radici tanto care alla cantautrice texana. E la vecchia Jolie dov’è finita? Wine Dark Sea sarà pure una rivoluzione ma non un’abiura: ecco sopraffine ballate soul come The Love You Save (cover di Joe Tex in cui duetta con Chanticleer Tru), First Sign of Spring e la dolente I Thought it was the Moon, unici brani che scorrono più o meno lineari, senza divagazioni particolari. E la deliziosa chiusura gospel di Waiting for the Sun, melodia nitida tra funk e free jazz (con lo zampino del solito Wieselman al sax) è la ciliegina sulla torta. Coraggioso, ispirato, insieme velluto e carta abrasiva, Wine Dark Sea getta un ponte tra generi e luoghi della tradizione americana, shakerandoli in una nuova sintesi, libera e personale. Uno dei dischi più belli e importanti dell’anno.


   


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