Mentre
la magia del suo esordio, Catalpa,
cominciava a diffondersi insistentemente anche dalle nostre parti, Jolie Holland
era già proiettata verso la realizzazione di un nuovo lavoro, Escondida,
quella che possiamo ritenere a tutti gli effetti la vera prova della maturità
per la giovane cantautrice di San Francisco. A pochi mesi di distanza dal predecessore,
la Holland ripropone e amplifica il fascino di quelle registrazioni, da cui era
logico attendersi una rapida conferma. La sua cifra stilistica della non scade
mai nella pura calligrafia: non si tratta di manierismo ne di semplice folk revival,
perché la sua storia è veramente un piccolo spaccato del sogno americano raccontato
dalla strada. Il vagabondare come ragione di vita si ritrova intatto nel lamento
di Poor Girl's Blues e in Goodbye California, con un'inedita spinta
country-rock in quest'ultima, le quali identificano immediatamente il mondo parallelo
in cui Jolie Holland vive la sua arte. Il folk scheletrico, struggente, da Grande
Depressione, è sempre dietro l'angolo, racchiuso nella grazia di Black
Stars o nell'estatica Darlin Ukulele (in cui lo strumento citato ha
un ruolo di primo attore), anche se gli orizzonti dell'autrice si sono giustamente
fatti più ambiziosi. Il merito è da dividere equamente con musicisti che sono
entrati in perfetta sintonia con il linguaggio di Jolie e le modulazioni della
sua voce: ci è voluto poco a Dave Mihaly (apprezzato jazzista della scena
californiana) per sostenerla con la sua batteria vellutata (da sentire il duetto
voce-percussioni in Mad Tom of Bedlam), mentre Brian Miller ha aggiunto
una chitarra elettrica minimale e sempre concentrata sul senso della melodia.
Con la presenza infine di una piccola sezione fiati (Ara Andersen alla
tromba e Paul Scriver al sax) sono emerse quelle dinamiche jazzy e swing
che Catalpa poteva solo lasciare intuire da lontano: l'ascolto di Sascha
e della suadente Old Fashioned Morphine svela il rapporto di amore che
Jolie nutre con la figura di Billie Holiday (e basterebbe d'altronde sentire il
retrogusto gospel di Amen o il romaticismo appassionato di Damn Shame
per capirlo), spostando le sue influenze verso le notti stregate di New Orleans.
Non ci troviamo di fronte a percorsi inediti ne sono cambiati gli spiriti evocati
dalle sue canzoni, tutto quello che girava nella sua testa e nelle corde della
sua chitarra è rimasto intatto. I fantasmi del folklore americano sono ancora
qui ad errare senza meta, come nel caso della splendida versione di Faded Coat
of Blue, un'antica ballata della guerra civile americana, anche se la veste
sonora per l'occasione si è tramutata dall'impatto ruvido degli esordi in una
sequenza di ballate dolci e romantiche. Appoggiandosi questa volta al prezioso
contributo di una band, Jolie Holland ha svelato con più chiarezza le radici della
sua musica (Fabio Cerbone) www.jolieholland.com
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