Dove le teneva nascoste queste canzoni Daniel Romano?
Ma soprattutto dove si annidava questo sound, frenetico e nervoso, con
un combo elettrico al suo fianco a dargli ulteriore manforte? Canadese
eccentrico e dalla personalità musicale sfuggente, Romano era partito
con i vestiti di un novello Gram Parsons e gli orizzonti country più classici,
si era preso una sbandata per l’Americana dal taglio cosmico e psichedelico
(nel disco a tutt’oggi più interessante del suo catalogo, If
I’ve Only One Time Askin’), salvo poi partire per la tangente,
spiazzando ad ogni curva nei successivi Mosey, Modern Pressure
e Finally Free, tutti album eclettici, con autentiche illuminazioni,
ma anche parecchie cadute di stile, pasticci volutamente cercati per assecondare
ogni desiderio della propria educazione musicale, dal pop più stralunato
all’indie rock, alle trame di un folk allucinogeno. Nel frattempo Romano
ha trovato anche il tempo di proseguire la sua passione parallela per
la poesia, pubblicando diverse raccolte, oltre che formare un sorta di
supergruppo denominato Ancient Shapes, tre dischi all’attivo definiti
come “flower pop”.
Ce n’è abbastanza da far girare la testa, ma in fondo è la conferma del
carattere indefinibile del personaggio e di quel talento anarchico che
spesso emerge da molti songwriter contemporanei, liberi, nell’indipendenza
ostinata, di inseguire ogni loro capriccio. L’ultimo in ordine di tempo
è quello del sestetto denominato Daniel Romano’ Outfit, formato
insieme a David Nardi, Roddy Rosetti, il fratello Ian Romano, Juliana
Riolino e Tony “The Pope” Cicero, quello riuscito meglio e che cambia
completamente le prospettive. Per presentarsi al mondo Daniel ha scelto
un disco dal vivo, la sintesi migliore della spiritata musica che muove
la band: inciso da Kenneth Roy Meehan nel corso del tour europeo in terra
scandinava, Okay Wow è il titolo più approriato per ribadire
la sorpresa al suo primo ascolto e dell’impatto che avrà, se avete un
debole per il folk rock più agitato e garagista, il rock’n’roll stradaiolo
che unisce la svelta melodia pop di Tom Petty con le chitarre del CBGB’s
newyorkese e il Bob Dylan tarantolato della Rolling Thinder Revue.
Esagerato? Sì, certo che è esagerato, come lo sono queste quindici canzoni
che pescano in lungo e in largo nel repertorio di Romano (anche con qualche
inedito), ma ne stravolgono i caratteri, nulla avendo a che fare con gli
originali incisi in studio. La cura degli Outfit è rigenerante e mentre
Daniel si ostinava spesso a incidere i suoi dischi - forse per parsimonia
economica, ma più probabilmente per maniacale desiderio di controllo e
un po' di sana follia autarchica - in totale solitudine, il confronto
diretto con le dinamiche del gruppo fa esplodere letteralmente il suono,
adesso indiavolato, urgente nella sua fiammeggiante poesia street rock.
C’è Empty Husk, tratta da Finally Free, l’ultimo disco pubblicato
per la New West, a far capire che qui si rotola, galoppando a rotta di
collo. La voce acuta e nasale di Romano ci mette del suo nell’evocare
fantasmi dylaniani, mentre l’incastro con Toulouse
annuncia un folk rock bluesato che ha l’Highway 61 che gli scorre nelle
vene. I brani si susseguono senza soluzione di continuità e questo perenne
cavalcare è la chiave di volta per accogliere l’irrefrenabile spirito
rock’n’roll degli Outfit: Hard on You sgroppa nella prateria rock
con una citazione per Neil Young, prima di sciogliersi nell’irrequitezza
garage punk di Time Forgot (To Change my Heart).
Quando arriva Roya, ballad elettrica
accalorata che ben poco ha da spartire con il tenore dell’originale (da
Modern Pressure del 2017), si apre una finestra sul piglio settantesco
degli Outfit, che non fanno nulla per nascondere l’amore verso l’accopiata
Dylan & The Band, sebbene sembrino rubarne fino all’ultima goccia di vigore,
quello di Before the Flood, e spararlo con The
Long Mirror of Time e Hunger Is a Dream You Die In in
un affollato club newyorkese. Strange Faces scalcia con baldanza
post Ramones, mentre Sucking the Old World Dry
si diverte a fare a fette il roots rock con deragliamenti e cacofonie
annesse, tornando poi sui binari della tradizione di un rock urbano tutto
cuore e melodia in Neverless. A questo punto diventa persino ridondante
citare ogni giravolta della band (anche se il fragore di Modern
Pressure non può passare inosservato), tanto si sarà capito
che Daniel Romano qui ha deciso di non fare prigionieri, non avendo nulla
da perdere.
C'è da scommettere che con l’imprevedibilità che lo contraddistingue,
la prossima volta Romano cambierà ancora le carte in tavola, e chissà
in quale direzione andrà a parare: per cui, sentitemi, conviene approfittarne
finché siete in tempo, perché qui ci sono tra chitarre e rock’n’roll tra
i più vitali che si siano ascoltati di recente... Con buona pace della
loro reiterata morte, annunciata a più riprese.