Johnny Paycheck
Ritratto di un fuorilegge

Chi è Johnny Paycheck? La domanda non è retorica, visto che non ha mai raggiunto lo status di immortalità di altri grandi country singer sorti negli anni settanta. Una storia la sua che affonda nei sixties, con una sensibilità artistica dibattuta tra le origini honky-tonk e rockabilly e il nuovo vento texano che minacciava Nashville nei '70. All'anagrafe Donald Lytle, originario di Greenfield, Ohio, Paycheck è un fuorilegge per natura e non di facciata, una costante che minerà la sua carriera fino agli ultimi giorni di vita. Le cronache lo vedono condannato dalla corte marziale per aver aggredito un ufficiale superiore durante gli anni in marina. È solo il primo di una lunga serie di "incontri" con la legge e le patrie galere. Nei primi anni sessanta si sposta a Nashville: qui incide i primi singoli sotto lo pseudonimo di Don Young, prima di unirsi ai Jones Boys, la band che accompagna il leggendario George Jones. Ci resta fino al 1965, quando la sua carriera solista riparte con l'aiuto di Aubrey Mayhew, con cui fonda la Little Darlin' records e pubblica i primi capolavori. Con il suono della pedal steel di Lloyd Green, uno dei musicisti più influenti dell'epoca, Paycheck trova il successo sperato: The Lovin' Machine entra nella top ten e un paio di pezzi scritti per Tammy Wynette (Apartment #9) e Ray Price (Touch my Heart) colgono nel segno. Non sono tuttavia anni di gloria, la musica di Paycheck è troppo dura e reale per piacere al grande pubblico. Sono honky-tonk songs amare che si ispirano alla sua stessa vita (grave la sua dipendenza dall'alcol) e che scriveranno la storia del country di quegli anni diventando registrazioni di culto. Il salto verso la notorietà arriva solo agli albori dei settanta con il passaggio alla Epic. Il produttore Billy Sherrill confeziona un suono più pulito, ma non cancella del tutto le tracce del passato: She's All I Got, Something About You I Love, Mr. Lovemaker gli danno ragione e diventano delle hit. La condotta morale di Paycheck però è sempre in bilico, da qui la decisione di trasformarsi in un eroe dell'outlaw country. Ironiche, beffarde, le sue canzoni giocano col fuoco: Me and the I.R.S., D.O.A. (Drunk on Arrival) sono solo alcuni dei titoli che ben riassumono questo spirito, ma il botto Johnny Paycheck lo ottiene con Take This Job and Shove It nel 1977, un successo da capogiro. Purtroppo sarà l'apice prima di una lenta discesa agli inferi. Con gli anni ottanta arrivano problemi contrattuali, pochi successi ed insicioni per etichette minori, ma soprattutto continue risse culminate con la tragedia di Hillsboro, Ohio nel 1985: Johnny ha un diverbio con uno sconosciuto in un bar e finisce per sparagli, ferendolo gravemente. Passa due anni in prigione, tenta di risollevarsi con l'aiuto di qualche amico (Merle Haggard), ma muore nel febbraio del 2003 dopo una vita di eccessi.
(Fabio Cerbone)


Artisti Vari - Touch My Heart, A Tribute to Johnny Paycheck Sugar Hill 2004
 

Progetto fortemente voluto da Robbie Fulks, che ne ha curato la produzione artistica, Touch My Heart, A Tribute to Johnny Paycheck è una preziosa rarità nell'ormai inflazionato campo dei tribute album, per repertorio, qualità degli artisti coinvolti e non ultimo la scelta dello stesso personaggio da omaggiare. Per una volta tanto infatti non si tratta di un nome di grido, piuttosto di un eroe minore della country music, controverso, dalla vita tormentata. Fulks ha dichiarato a più riprese il suo amore incondizionato per Paycheck e soprattutto per le sue incisioni degli anni sessanta con la Little Darlin' records: una fonte di ispirazione sulla musica del giovane songwriter. Con la supervisione della Sugar Hill, Robbie ha svolto un lavoro encomiabile: riunita appositamente una stellare house band (il mitico Lloyd Green alla pedal steel/ Dennis Croch, basso/ Gerald Dowd, batteria/ Hank Singer, fiddle, mandolino/ Joe Terry, piano/ Redd Volkaert, chitare), si è portato in studio la crema dell'attuale scena Americana, qualche vecchio marpione e giovani talenti dell'alt-country pescando a piene mani nell'eredità musicale di Paycheck. La conclusione è semplicemente perfetta, uno dei migliori esempi di country music ascoltati di recente, perché pervaso in ogni interpretazione da un amore ed una fedeltà verso lo spirito degli originali. A turno sfilano calibri da novanta e facce nuove: parte la bravissima Neko Case in If I'm Gonna Sink, un honky-tonk stellare dove la sua voce squillante va a nozze. È una delle poche voci femminili presenti, ma tutte infallibili: affascinante come sempre Mavis Staples con il classico Touch My Heart, country-soul di rara eleganza, e se le cava bene anche Gail Davis in coppia proprio con Robbie Fulks nella ruspante Shakin' the Blues. Nelle fila della vecchia guardia si mettono in evidenza l'amico di un tempo di Paycheck, George Jones, con la raggiante She's All I Got, il vocione di Dallas Wayne nella struggente I Did The Right Thing, un semplicemente perfetto Jim Lauderdale con I Want You To Know e il solito Dave Alvin, che non delude con la rockata 11 Months And 29 Days. Stupefacente anche Marshall Crenshaw, trasformatosi in navigato country singer con I'm Barely Hangin' On To Me. Tuttavia molte sorprese arrivano dai giovani virgulti: Hank III che piega I'm The Only Hell My Mama Ever Raised (un titolo che gli calza a pennello) al suo old-style rurale; Bobby Bare jr. che riprende Motel Time Again (scrita dal padre Bobby Bare, ma portata al successo anche da Paycheck) aggiungendo una tromba e un piano saltellante sullo sfondo, prima del gran finale con Take This Job And Shove It, dove viene affiancato da Jeff Tweedy, Radney Foster e, udite udite, Buck Owens in persona, per una versione scoppiettante del classico di Paycheck. Sarebbe stato forse l'ideale chiudere i conti con questo brano invece di scegliere la Old Violin di Larry Cordle, ma è un appunto secondario in un'operazione riuscitissima.
(Fabio Cerbone)

www.sugarhillrecords.com


<Credits>