Finalmente
Hollywood ha scoperto la cultura ispano-americana, e persino il governo degli
Stati Uniti adesso va a cercare i voti nel Barrio, e anche i sondaggi dicono che
tra un secolo (un tempo normale per la storia) gli ispano-americani saranno di
più degli yankee. Chi segue il rock'n'roll da tempo conosce la situazione, se
non altro perché l'ha sentita raccontare direttamente dalla voce, dalle canzoni,
dai suoni dei Los Lobos, che non sono un gruppo qualsiasi. In effetti,
già Jim Cullen gli aveva dedicato un intero capitolo in The art of democracy,
usandoli come esempio di una convivenza riuscita e di una multiculturalità raggiunta.
A maggior ragione dopo Good Morning Atzlan, un disco sorprendente
che li conferma creativi, attenti, poliedrici e passionali anche dopo vent'anni
di carriera. Anni importanti, che hanno visto i Los Lobos diventare l'epicentro
di una complessa serie di ramificazioni culturali e di una ricerca musicale continua
che non ha eguali: Latin Playboys, Hound Dog, Los Super Seven sono soltanto alcuni
dei progetti che hanno distinto l'evoluzione dei Los Lobos, capaci di interpretare
la ricettività di un mondo di frontiera. Il loro, che arrivano dal barrio di Los
Angeles, americani che cantano spagnolo, messicani che parlano americano, in un
quadro tutto particolare della mitologia del melting pot. Funziona, mas y mas.
Più che mai. (Marco Denti) |