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lonesome sound di
Fabio Cerbone (08/10/2014)
Avvertenze
per l'uso: un uomo e la sua chitarra, maneggiare con estrema cura. O se preferite
l'adagio che andava di moda Nashville tanto tempo fa, quando Kris Kristoferson
entrò per la prima volta in città: "tre accordi e la verità". In ogni
caso recensire un disco come An Evening With Kris Kristofferson
è quasi un controsenso (e sarebbe un'offesa maggiore affibbiargli un voto...),
quanto meno da un punto di vista strettamente critico: cosa dovrei mai puntualizzare
su queste trentaquattro canzoni, rigorosa testimonianza di un intero show acustico
tenutosi il 26 di settembre del 2013 presso la London Union Chapel? Dovrei forse
far notare che un'ora e tre quarti di american music così essenziale, cruda, ridotta
all'osso non è per ogni occasione? Che le incertezze del suo protagonista, nei
suoi quasi ottanta anni portati con magnifica fierezza, sono l'essenza stessa
di un'esibizione che ha più il significato di una testimonianza che non di un
altro, magari l'ennesimo e inutile, disco dal vivo?
Si, An Evening With
Kris Kristofferson, sottotitolo The Pilgrim; CH 77 Union Chapel, è qualcosa
di diverso e di più profondo, è l'anima di un uomo e di un artista, e qui
il valore della musica contenuta nel doppio disco è assai relativo: se volete
avere una breve descrizione della scaletta e della sua qualità strattemente tecnica,
allora sappiate che Kris ogni tanto sbaglia la tonalità dell'armonica e ci scherza
sopra, in qualche occasione pasticcia persino con i cambi di accordo, ma mantiene
una voce strepitosa, impastata e densissima, come forse non aveva mai raggiunto
in gioventù. E tanto basta per chiudere le informazioni di routine su qualcosa
che, ripeto, va oltre l'operazione discografica. Quando canta Why
Me, al termine della luna camminata solitaria, Kris Kristofferson sembra
davvero intonare un gospel a tu per tu con Dio, consapevole della vita che sta
volgendo al termine e di un lungo, favoloso cammino che lo ha portato ad essere
uno dei giganti del country folk americano. Non so quanto ci avrebbe scommesso
cinquant'anni fa, quando lasciò una brillante carriera militare (avrebbe potuto
insegnare all'Accademia di West Point), una laurea con tanto di master ad Oxford,
per atterrare nel giardino di Johnny Cash con un elicottero, così narra la leggenda,
e portargli dei nastri da cui sarebbe saltata fuori Sunday Morning Coming Down.
Insieme a Me & Bobby McGee, Help
Me Make it Through The Night, Silver-Tongued Devil,Jesus Was a
Capricorn, Casey's Last Ride, la stessa The
Pilgrim, e persino classici "minori" come The Promise o Shipwrecked
In The 80's (che apre l'esibizione), non manca di arricchire la lista
delle interpretazioni qui contenute: è un ripasso generale che ha il sapore di
una celebrazione, come è giusto che sia, di fronte al tutto esurito della Union
Chapel e al calore del pubblico, che approva, tossisce, si esalta quando arrivano
i classici, ma sa anche apprezzare le più recenti creazioni, tra cui risaltano
Feeling Mortal, Closer to the Bone
e From here to Forever. Sono il risultato dell'ultimo scorcio di carriera,
quando giustamente Kris ha seguito l'esempio del suo maestro Johnny Cash: un sound
spolpato e acustico che da lavori come This Old Road fino al recente Feeling
Mortal hanno avuto il merito di esaltare
il cuore stesso della canzone, senza inutili orpelli. Questo live è un po' figlio
di tale svolta, un ritorno a casa per Kris, quando arrivò negli uffici del produttore
e talent scout Fred Foster (lo stesso che lavorò con Hank Williams) e strappò
un contratto con la Monument, incidendo il suo primo magnifico esordio.
Oggi
di tutta questa interminabile storia, lunga più di quarant'anni, è rimasta una
chitarra secca, pochi accordi e una voce profonda e rotta che ha più o meno la
consistenza del Monte Rushmore. Come dire: l'America.