Quant’è stronza e triste la vita quando ci si mette di
mezzo il destino, a volte così cinico da far ammalare di cancro, così,
all’improvviso, chi aveva già visto andarsene la prima moglie — la cantante
country Skeeter Davis, colpita al seno — a causa dello stesso male. Parliamo
di Joey Spampinato, newyorchese del Bronx, nella seconda metà dei
’60 membro fondatore degli indimenticabili NRBQ (forse la singola formazione,
a cavallo tra radici, di ogni genere, e umoristico errebì, più divertente
di tutto il secolo scorso), negli anni bassista per Keith Richards e Chuck
Berry, per l’Eric Clapton di 24 Nights (1991) e moltissimi altri;
oggi cittadino del Massachusetts, dove risiede con la seconda moglie,
la cantautrice e trombettista Kami Lyle.
È stata lei, appena saputo della malattia, a rivolgersi all’ente benefico
Sweet Relief, nato nel 1993 per coprire le spese mediche di Victoria
Williams (dopo una diagnosi di sclerosi multipla) e poi diventata una
vera e propria organizzazione a sostegno di musicisti in condizioni di
necessità economica e sanitaria, nonché a predisporre la scaletta di un
disco tributo appunto patrocinato dall’associazione di cui sopra e pubblicato
dalla canadese True North. E sebbene, soprattutto negli ultimi tempi,
tributi, celebrazioni e rivisitazioni abbiano abbondantemente stufato,
è bello constatare come le quattordici tracce di Party For Joey:
A Sweet Relief Tribute To Joey Spampinato, compresa la dedica
finale della consorte medesima (in First Crush simile a un improbabile
ma efficace intreccio tra Chet Baker, Rickie Lee Jones e i Prefab Sprout),
rechino in dote la stessa grinta, la stessa energia, la stessa comicità
e lo stesso, asciutto brio appartenuti alle prove migliori degli NRBQ.
Per forza, direte voi, se a inaugurare le danze c’è Al Anderson (chitarrista
del gruppo dal 1982 di Scraps) alle prese con lo spumeggiante rock
& roll anni ’50 di You Can’t Hide, ma non è tutto, perché all’elenco
dei contributi di prim’ordine vanno aggiunti quello dei Los Lobos nell’altrettanto
trascinante Every Boy, Every Girl, con il sax di Steve Berlin in
spolvero come non capitava da tempo, i Deer Tick in chiave rockabilly
della movimentata That I Get Back Home, il Peter Case di una Don’t
Knock At My Door bluesata e rockeggiante alla maniera di un Little
Walter redivivo e ancora gli splendidi Minus 5 (stavolta con Peter Buck
e Mike Mills dei R.E.M. in formazione) di Don’t She Look Good,
riletta con lo spirito garagista e scalmanato dei primi Fleshtones.
Certamente nessuno nutriva perplessità sul mestiere di Steve Forbert (qui
cimentatosi con il folk-rock autunnale della dolcissima Beverly),
di Buddy Miller (ottima la sua parafrasi country di How Will I Know),
di Bonnie Raitt (d’altronde, Green Lights era una delle canzoni
più belle di un suo disco quasi omonimo del 1981, anche se questa versione
mi sembra perfino più asciutta del prototipo) o di Robbie Fulks (al solito
stralunato e spassosissimo nel riverniciare Chores di pennellate
honky-tonk). Sorprendente, se mai, è la perfetta padronanza del groove
funky e blues di Like A Locomotive messa in campo da Ben Harper,
che chi scrive digerisce sempre con fatica: quando, però, a suonare con
lui ci sono la sei corde di Keith Richards, l’armonica di Charlie Musselwhite,
l’organo di Benmont Tench e la sezione ritmica di Don Was (basso) e Don
Heffington (tamburi), be’, in questo caso risulta quasi impossibile trovare
qualcosa su cui eccepire.
Lo stesso ragionamento vale per l’intero Party For Joey: A Sweet Relief
Tribute To Joey Spampinato, caso sempre più raro di tributo avulso
da riempitivi e tempi morti, un piccolo miracolo di buongusto e buonumore
dal quale speriamo venga, di conseguenza, l’altro miracolo atteso da tutti.
E cioè che le cure a cui si sottoporrà Joey Spampinato abbiano effetti
positivi. Su quelli della sua musica, invece, non avevamo dubbi.