Emmylou Harris
Songbird - Rare Tracks & Forgotten Gems
[Rhino/Warners, 4Cd +1DVD  2007]



Quando si parla di Emmylou Harris si parla sempre della sua voce. Della sua capacità di infondere un senso di purezza inviolabile o di ricoprire di scaglie di dolore ogni canzone interpretata. E ci vorrebbe un pazzo, o un sordo, o un ascoltatore che sia tutte e due le cose assieme, per negare alla voce d'angelo di Emmylou, al suo fraseggio limpido, la qualità appena citata. Non voglio mettere in discussione la dolcezza del suo soprano, capace di esprimere consolazione e rimpianto nella stessa parola come pochi altri, e soprattutto capace di armonizzare come nessun'altra ugola al mondo. Ci mancherebbe. Eppure, per quanto mi riguarda, se dovessi indicare un motivo - uno solo - in base al quale ritengo che la carriera di Emmylou sia stata irrinunciabile allora, e sia tanto più interessante ancora oggi, non penserei alla pur adamantina bellezza della sua voce. Citerei piuttosto il suo ruolo, mai troppo lodato, mai abbastanza riconosciuto, di custode della tradizione. Attenti, però: "custode" non nel senso di un cerbero guardiano, bensì di "continuatrice", depositaria di uno stile tanto vicino al nocciolo della tradizione, e tanto innamorato e rispettoso di essa, da saperla traghettare attraverso epoche differenti. Quello che ha fatto Bruce Springsteen per il rock'n'roll, in pratica istituendo una continuità prima soltanto immaginata tra il suono dei juke-box, il r'n'r della golden-age, il punk e lo storytelling urbano della New York degli anni '60, Emmylou Harris l'ha fatto nell'ambito (reazionario, conservatore, stalinista) della musica country. I dischi di Emmylou Harris, anche quelli meno riusciti e più scontati, fossero essi consacrati al rockabilly o al bluegrass, al rock'n'roll o al folk duro e puro, hanno sempre dimostrato che stabilire una congruenza tra il country e il suo superamento era non soltanto possibile, ma addirittura necessario. Ci ha insegnato che reinventarsi ad ogni circostanza, di volta in volta inseguendo nuovi stimoli e abbandonandosi al flusso di nuove suggestioni, non doveva per forza comportare il tradimento delle proprie radici, della propria eredità, del proprio percorso formativo. L'adolescente che nei primi anni '60 sognava di diventare una folk-singer, e scriveva lettere a Pete Seeger domandandogli se tutto sommato una ragazza che era sempre stata felice e soddisfatta non sarebbe stata poco credibile nel cantare di sofferenze e difficoltà (questi le rispondeva di non preoccuparsi: "Figliola, i momenti difficili sono più vicini di quanto tu creda."), è diventata una delle artiste più importanti, eleganti e consapevoli degli ultimi trent'anni.

Songbird - Rare Tracks & Forgotten Gems
racconta la sua storia. Storia in precedenza gratificata da un altro box retrospettivo (il triplo Portraits [1996]), è vero, ma va detto che laddove quello cercava di replicare in modo quasi didascalico all'esigenza di riassumere una carriera all'epoca già contraddistinta da venti e passa album ufficiali, questo si limita a suggerire un percorso, a evocare una chiave di lettura tra le tante possibili, finendo però col risultare - siamo onesti - assai più significativo, efficace e rivelatorio del predecessore, rispetto al quale suona senz'altro più diretto e vivace. L'unica nota di disappunto riguarda il contenuto del DVD, 9 video di interesse altalenante (quelli datatissimi e tremendamente anni '80 di Mr Sandman e I Don't Have To Crawl potevano restare dov'erano), quasi a far capire che nemmeno in casa Rhino tutte le ciambelle riescono col buco. Per quanto invece concerne la musica, be', qui c'è soltanto di che leccarsi i baffi: dubito che gli appassionati di tutto ciò che è roots non riescano a reperire motivi di interesse in un romanzo americano che, partendo da un'inedita take alternativa di Clocks per piano è chitarra (è il 1969 dell'esordio solista Gliding Bird), attraversa 78 brani diversi per arrivare all'aristocrazia e vetustà country dei recenti duetti con Mark Knopfler (Love And Happiness), Dolly Parton e Linda Ronstadt (When We're Gone, Long Gone), Randy Scruggs e Iris Dement (l'intramontabile Wildwood Flower). In mezzo, tredici inediti assoluti che sappiamo rappresentare nient'altro che la punta di un iceberg ancora tutto da svelare: la citata Clocks, altre collaborazioni con la Parton e la Ronstadt (Psalms Of Victory, Soft And Tenderly), una robusta rilettura del Guy Clark di Immigrant Eyes, il country di First In Line e l'honky-tonk demodé di Highway Of Heartache, il Townes Van Zandt tenero e desolato di Snowin' On Raton (col grande Richie Bennett alla chitarra e i virtuosismi del mandolino di Sam Bush), una trascrizione strettamente rootsy della spettrale Waltz Across Texas Tonight (scritta a quattro mani col coadiutore di sempre Rodney Crowell) che nel 1995 chiudeva il capolavoro Wrecking Ball e molto altro ancora. Impressionante, poi, ancorché già noto, è il parterre delle collaborazioni: da vecchi album della stessa Emmylou, da vari dischi altrui e omaggi assortiti emergono Guy Clark (I Don't Love You Much Do I), Steve Earle (I Remember You), Kate e Anna McGarrigle (Golden Ring), la Nitty Gritty Dirt Band (Mary Danced With Soldiers), Mary Black (Sonny), Patty Griffin (Beyond The Blue), George Jones (Here We Are), Willie Nelson (One Paper Kid), Waylon Jennings (Spanish Johnny). Un posto speciale, e non poteva essere altrimenti, lo occupano le canzoni di Gram Parsons: a parte la Wheels in coabitazione con i Seldom Scene, provengono tutte dall'album tributo Return Of The Grievous Angel ('99) le bellissime versioni di Sin City (con Beck) e Juanita (con Sheryl Crow), e così pure quella She che i Pretenders impregnarono di erotismo sudista e struggimento soul e chi vi scrive reputa tra le migliori cover di sempre. Nel lotto manca Boulder To Birmingham (da Pieces Of The Sky, '75) e forse è meglio così: è la canzone tramite cui Emmylou confessò al mondo tutto il suo rimpianto e la sua sofferenza dopo la scomparsa di Parsons, che prima di morire nel deserto per overdose (1973) fu per lei un pigmalione insostituibile e un amante mai dimenticato, e ancora oggi ascoltarla è un po' come assistere a una professione troppo straziante e privata per non imbarazzare.

E come già detto, non è di confessioni che vive Songbird - Rare Tracks & Forgotten Gems. Le rivelazioni da esso proposte stanno in fondo a un sentiero non lineare, le cui deviazioni sono interessanti quanto la strada principale. Tra queste deviazioni c'è anche Gram Parsons, logico che ci sia. Gli album della Harris successivi alla sua morte sono dominati da un sentore di perdita e lutto quasi irrespirabili. Le difficoltà della loro relazione le hanno donato quella voce che Emmylou, nella vecchia lettera indirizzata a Pete Seeger, temeva di non avere. La morte dell'angelo tragico e la gabbia di dolore che l'ha imprigionata per tanti anni le hanno insegnato come rendere unica questa voce. Come riscoprire l'autenticità perduta del genere proprio quando il country si sputtanava nelle classifiche pop. Come rivestirlo di modernità e riportarlo in classifica quando il Ryman Auditorium di Nashville stava per essere demolito. Songbird - Rare Tracks & Forgotten Gems è un pezzo della vita di Emmylou Harris: spirituale e sensuale, angelica e irrequieta. Non so se oggi la Harris si consideri una donna fortunata. Noi, che l'abbiamo avuta a cantare le nostre perdite, i nostri cuori infranti e le nostre rinascite, lo siamo di sicuro.
(Gianfranco Callieri)


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