Dr. John
New Orleans on my mind
Dr. John
N'Awlinz Dis Dat or D'Udda
(Parlophone/EMI 2004)
 

Niente è più entusiasmante del delinearsi di quelli che vengono chiamati, con scarsa fantasia, "stili regionali". L'appartenenza territoriale disegna una sorta di sommario ideale delle caratteristiche che definiscono un genere; entusiasmante soprattutto a posteriori, quando è possibile, nonché intrigante, operare le varie differenziazioni; utile, per cultori, cronisti e archivisti, che possono così circoscrivere i vari bagagli di influenze. La storia, del rock, del blues, del jazz, della musica popolare tutta, è zeppa di esempi. Apparentemente, non diceva nulla di nuovo lo storico Charlie Gillette, quando diceva che "Lo stile regionale riflette per intero l'humus della zona entro il quale è concepito". Logico pensare a una città come New Orleans, con i suoi incroci culturali e umani, storici e artistici. La città della Louisiana non riflette una situazione di melting-pot; è il melting-pot per eccellenza, è abituata alle mescolanze più disparate. La sua stessa vicenda, da colonia francese, poi in mano agli spagnoli, indi parte delle latitudini più calde degli Stati Uniti, appare essere emblematica, con tutti i riti propiziatori che il caso richiede. A New Orleans ("Non è la capitale della Louisiana, ma è come se lo fosse", dice Gianni Del Savio) si incontrano creoli, italiani, spagnoli, caraibici. Qui è nato Louis Armstrong e qui si è consumata l'epopea di Storyville; il cibo è piccante come la musica e qui si sono delineate le prime frasi essenziali del "jass" e qui, dalla seconda metà degli anni quaranta si è sviluppata una forma autoctona di rhythm'n'blues, con tutti i suoi personaggi pieni di calore e di colore, da Fats Domino ad Arcibald, a Smiley Lewis a Lee Allen a Professor Longhair a Dave Bartolomew; un grosso capitolo della storia della musica popolare statunitense, ruotante attorno al "Vieux Carrè" e agli studi di Cosimo Matassa, i J&M. Dr. John è parte di questa storia; perde qualche battuta in senso cronologico, ma ci entra di diritto a partire dalla fine dei cinquanta. Allo stesso modo della città, egli stesso è un incrocio stilistico; saprà vitalizzare il r&b con buone dosi di funky e voodoo, riuscendo ad arricchire la sua musica con le scenografie del "mardi gras". E straordinario melting-pot è questo bellissimo N'Awlinz Dis Dat Or D'Udda; una frase idiomatica, puro slang del sud. Parte con l'eterna When The Saints Go Marching In (con Mavis Staples) e arriva al St. James Infirmary (con Eddie Bo), stravolta e insanamente funky. E' pieno di qualsiasi cosa la vostra mente possa produrre con un tasso insostenibile d'umidità. Trasuda blues, gumbo e voodoo da tutti i pori, che sia You Ain't Such a Much, con Willie Nelson e Snooks Eaglin o Hen Layin' Rooster con B.B. King e Clarence "Gatemouth" Brown. E' come un giro notturno per Algiers, dove si può incontrare Marie Laveau, ma anche Randy Newman con cui duettare sulla sarcastica I Ate Up The Apple Tree; soprattutto è dominato da quell'inimitabile piano "rollickin'" che sa tanto di Professor Longhair, Lee Dorsey e James Booker; che è poi lo stile del vecchio Mac Rebennack, colui che (insieme a un'impressionante serie di ospiti; oltre a quelli citati, Cyril Neville e la Dirty Dozen Brass Band) vi conduce in città in maniera inconfondibile. Sulle note della splendida Life Is A One Way Ticket. Che poi è la filosofia di "N'Awlinz". .
(Roberto Giuli)

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