:: Bruce Springsteen   diavoli e polvere
"L'America è un ammasso di poltiglia, una gelatina, una lastra sensibile pronta a ricevere qualsiasi segno vi si voglia imprimere. Non abbiamo né arte, né educazione, né intelletto. Non abbiamo niente. Versiamo lacrime sulla nostra stessa stupidità. Abbiamo solo movimenti di massa come il mare. Ma non siamo un mare" (William Carlos Williams, 1923)
 

Verrebbe da dire: a Ovest niente di nuovo. Il deserto, la polvere, i demoni dell'America sconfitta e tradita, le drammatiche migrazioni dal Messico. Tutto già visto in Nebraska e, soprattutto, in The Ghost of Tom Joad. Invece, Devils & Dust è ancora una volta una sorpresa, a patto di non sezionarlo canzone per canzone, strumento per strumento e di evitare la discussione se è meglio Bruce Springsteen con la E Street Band o senza, acustico o elettrico (un dibattito che non porta da nessuna parte). Il viaggio da Devils & Dust a Matamoros Banks porta direttamente nel cuore di tenebra della promised land: si parte dalle rovine (morali, perché quelle materiali sono già finite nella spazzatura) dello skyline di New York e si arriva sulle rive di un fiume che è frontiera e speranza, ma anche il solco netto di una sconfitta, di una ferita. In mezzo c'è l'America lost & found, la wilderness, tutte le strade che portano a casa, Robert Johnson e Johnny Cash, i losers che scappano di città in città e i migranti che arrivano dal sud, alla disperata ricerca di un lavoro o di una qualsiasi forma di sopravvivenza. La mappa tracciata da Devils & Dust decreta la fine di un sogno e riporta tutto all'essenza della terra, della polvere, di un viaggio dentro nowhere, quei luoghi abbandonati da tutto e da tutti che sono l'ultima meta della corsa di Bruce Springsteen. Il grande romanzo americano del rock'n'roll, davanti ai dilemmi di tempi paradossali e senza guide, trova l'unica indicazione possibile: verso le radici, l'inizio di tutto, seguendo la libertà delle canzoni e delle storie che raccontano un viaggio indispensabile e persino profetico
(Stefano Hourria)

 


Bruce Springsteen - Devils & Dust Columbia/Sony 2005 1/2
 

Le scheletriche ballate folk di Tom Joad, la produzione stratificata di The Rising, le chitarre rock e i modi spicci di Lucky town: Devils & Dust è allo stesso tempo vecchio e nuovo, un Bruce Springsteen che reiventa se stesso senza cambiare pelle, che cerca nuove strade battendo quelle vecchie, tornando all'essenza del folksinger (e basterebbe d'altronde osservarlo cantare e spiegare le sue ragioni nel breve DVD allegato), ma investendo il tutto con tonalità colori, sensazioni più sfumate del previsto. La produzione di Brendan O'Brien farà ancora storcere il naso, eppure le va riconosciuto di aver dato musicalità e aperto insolite soluzioni ad un suono che altrimenti rischiava di ricalcare il concept di Tom Joad. E' un accostamento che viene naturale quest'ultimo, perchè il corpo lirico di Devils & Dust fa leva sulla spoglia poesia - marginale, spietata, e nonostante ciò romantica - di Reno, Silver Palomino, Black Cowboys, The Hitter, Matamoros Banks. Ma le ragioni del Bruce Springsteen di oggi non sono affidate ad una progettualità così forte come quella del fantasma dei diseredati di Steinbeck. Devils & Dust è un disco di chiaroscuri, fatto da una parte di crude narrazioni e storie americane, dall'altra di temi universali, di amore visto attraverso un abbraccio e una speranza. Si dischiudono allora gli squarci elettrici di All the Way Home e Long Time Comin', che sembrano virare il rock'n'roll di The Rising sui passi del country rock, con la steel di Marty Rifkin e il violino di Soozie Tyrell a svolgere un ruolo centrale. Polvere e America rurale dunque, accenti pastorali che riecheggiano nell'anima gospel di Jesus Was an Only Son, uno dei vertici del disco, nel mandolino di Maria's Bed, ruvida ballad in cui Springsteen azzarda persino un cambiamento di voce, portandolo quindi alle estreme conseguenze nel falsetto di All I'm Thinkin' About, un rock'n'roll sotto mentite spoglie acustiche. Altalenante negli umori musicali, schietto nell'esposizione, a suo modo omogeneo - dopo ripetuti ascolti - nel racchiudere le esigenze attuali di Springsteen come storyteller, Devils & Dust non ha ragione di essere confrontato con nulla, perchè resta comunque una delle cose più personali regalate dal nostro in carriera
(Fabio Cerbone)



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