Archeologia
dell'american music moderna, all'intersezione fra musica sacra e profana, fra
tradizione gospel religiosa e secolare linguaggio blues, la figura di Blind
Willie Johnson e quella piccola manciata di incisioni registrate fra il 1927
e il 1930 per la Columbia distendono ancora oggi un fascino primitivo, un richiamo
alla natura più misteriosa di certe canzoni. Era ciò che cercava di catturare
anche Bob Dylan nei Basement Tapes e che la famosa "Anthology of Folk
Music", della cui scaletta faceva parte lo stesso Johnson, aveva insegnato
alle nuove generazioni di musicisti che si affacciavano sul pozzo della memoria
folk negli anni sessanta. Texano, biografia come sempre incerta, degna degli enigmi
che avvolgono altri giganti come Robert Johnson, Blind Willie Johnson era un predicatore
itinerante nei tempi grami che precedettero la Grande Depressione, evento che
alla fine gli avrebbe strappato via anche la casa e la vita (morì a Beaumont,
Texas, per le conseguenze di una febbre malarica, appena conclusa la Seconda Guerra
Mondiale). Suonava agli angoli delle strade, in mezzo alla gente, si accompagnava
alla moglie, che lo sorreggeva nel difficile compito e convertiva le anime all'imperscrutabile
volere del Signore, suonando una slide guitar che metteva a dura prova le regole
della buona creanza cristiana.
Diavolo e acqua santa, con una voce che
sapeva essere un tuono e una carezza al tempo stesso, e uno stile chitarristico
che lo distingueva da tutti gli altri rappresentanti del blues pre-bellico. Le
cinque sessioni per la Columbia e il piccolo ma assai influente songbook lasciato
in eredità (basterebbero titoli come The Soul of a Man, Jesus Make Up
My Dying Bed, John the Revelator o Nobody's Fault but Mine)
sono un imprescindibile manuale per qualsiasi autore che voglia misurarsi non
solo con il manuale del blues rurale in senso stretto, semmai con l'arcano stesso
dell'America: la sua Dark Was The Night Cold Was The Ground non è stata
scelta a caso come testimonianza da inviare nello spazio con la sonda Voyager,
un messaggio dall'anima più recondita degli uomini per chiunque voglia un giorno
comunicare con la Terra.
God Don't Never Change: The Songs Of Blind
Willie Johnson è un tributo a questa eredità misteriosa, fortemente voluto
dal produttore Jeffrey Gaskill (già apprezzato per il suo lavoro con Gotta
Serve Somebody: The Gospel Songs of Bob Dylan) e finanziato attraverso una campagna
di successo, a partire dal 2013, sulla piattaforma Kickstarter. I fondi hanno
permesso di reclutare un cast stellare, mantenendo però una sequenza equilibrata
e una misura nella scelta delle tracce che impedisce al progetto di diventare
una semplice parata di nomi. Innanzi tutto soltanto undici brani, persino due
brani a testa per Tom Waits e Lucinda Williams, facce speculari della stessa medaglia
gospel blues, e il resto nelle mani di artisti che potrebbero persino sembrare
lontani dal gesto di Johnson (Cowboy Junkies, Sinead O'Connor, Rickie Lee Jones)
e che invece si rivelano in buona parte capaci di mettere in gioco le certezze
della fonte di ispirazione.
Accompagnata dalle parole dello stesso Gaskill
e da un dettagliato pamphlet biografico firmato da Michael Corcoran, l'album è
un'opera che non sconfina in puri intenti "pedagocici" e men che meno filologici,
traccia un chiaro ritratto dell'eredità artistica di Johnson, ma sceglie poiun
approccio che potremmo definire addirittura incompleto, solamente una pista, che
l'ascoltatore potrà poi completare, prima di tutto andando a riscoprire le trenta
incisioni originali della fine degli anni Venti, quindi inoltrandosi nei mille
rivoli di quella tradizione a cavallo tra spiritualità e carnalità del blues.
Si parte in ogni caso con il più sanguigno e passionale degli interpreti,
il Tom Waits dell'arcinota The Soul of a Man,
qui martoriata dal rantolo caratteristico dell'autore, eppure tenuta nei binari
di un secolare blues tutto battiti e fremiti vocali, tra l'altro registrato in
famiglia con Casey Waits alla batteria e la moglie Kathleen Brennan ai cori. Waits
riemerge più avanti con una John the Revelator sinistra e ringhiosa,
invishiata con gli ammeniccoli ritmici tipici del suo periodo Bone Machine. Simmetrica,
come si anticipava, la Lucinda Williams di It's Nobody's Fault But Mine
e God Don't Never Change, strascicata, gorgogliante
e immersa dalle acque del Mississippi con la slide di Doug Pettibone e il contributo
della fidata sezione ritmica: qui il recinto è quello del Sud e dei suoi segreti,
nel conflitto eterno fra terra e cielo. Anche Derek Trucks e Susan Tedeschi si
attengono fedeli al tracciato della tradizione, finanche più diligenti: la loro
Keep Your Lamp Trimmed And Burning è acustica e gospel fino nelle ossa,
schiocco di mani e controcanti del collaboratore Mike Mattison compresi.
Ben
diverso il raffronto per i Cowboy Junkies di Jesus
Is Coming Soon, i quali non solo osano utilizzare un sample della voce
originale di Blind Willie Johnson, messa in parallelo con l'etereo timbro di Margo
Timmins, ma piegano al fascino del loro stile musicale la sensualità della canzone.
Uno degli episodi più intriganti, che fa il paio con la Sinead O'Connor di
Trouble Will Soon Be Over, più "moderna" nell'arrangiamento,
eppure contenuta nel clima ritmico dell'originale, con lo scheletrico palpito
ritmico e il sostegno vocale di Joanne e Nicola Papenfus. La sua interpretazione
vocale è fra le più avvincenti, al fianco di un'esplosiva (e rediviva, aggiungiamo
noi) Maria McKee in Let Your Light Shine On Me, sbucata direttamente da
una riunione in qualche chiesa Battista. Il che ci porta naturalmente ai Blind
Boys of Alabama di Mother's Children Have a Hard Time, qui prodotti da
Jason Isbell ai leggedari studi di Muscle Shoals in Alabama, con lo stesso Isbell
alla chitarra slide. Chi altri sceglie di attenersi al verbo sudista è il misurato
e rurale Luther Dickinson di Bye and Bye I'm Going to See the King, accompagnato
dal particolare timbro al flauto di Shardé Thomas (lo stile "fife and drum
blues" mutuato da Othar Turner), mentre di tutt'altra pasta è la chiusura
affidata a Rickie Lee Jones, alle prese proprio con l'immortale
Dark Was the Night Cold Was the Ground. La sua interpretazione,
chitarra e voce, spiazza per la voluta imprecisione, la fragilità vocale esibita,
l'indifesa arrendevolezza ,ma sembra aggrapparsi a una forza nascosta, nel docile
manto dei fiati che arricchiscono lo scarno arrangiamento: forse è lo stesso Blind
Willie Johnson a sorreggerla per mano fino in fondo.