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psychedelic pop di
Fabio Cerbone (25/09/2012)
Per
un attimo ho creduto davvero che la New West avesse sbagliato ad impacchettare
le confezioni del nuovo album dei Ponderosa, magari scambiando tracce audio
e supporti con un'altra etichetta. Purtroppo è tutto vero e ha dell'incredibile,
quanto meno per come raramente sia capitato di assistere ad una tale trasformazione
all'interno di una band, nel giro di una stagione o poco più. Per chi si fosse
perso la prima puntata - perchè altrimenti la trama potrebbe risultarvi indecifrabile
- occorre ricordare che l'esordio della formazione di Atlanta, Moonlight
Revival, rivitalizzava l'onda lunga del nuoco rock sudista, portando
avanti lo scettro dei concittadini Black Crowes, magari addomesticandolo secondo
le regole dell'alt-country di oggi.
Insomma, qualche irruento rock'n'roll
da strada maestra e ballate polverose che viravano verso la campagna dei Jayhawks,
tanto per citare un pantheon di nobili parentele nel genere. Nulla di destabilizzante
per la acque del rock provinciale americano, ma un debutto spavaldo e tirato a
lucido con energia e malizia, anche grazie alla presenza di un vecchio marpione
come Joe Ciccarelli in cabina di regia. Passato qualche mese in tour e resisi
conto, dicono loro, dei radicali cambiamenti di stile in atto, Kalen Nash
e soci hanno virato di 360°, andando in studio per due settimane senza imporsi
limiti artistici. Dimenticatevi dunque, se ne avevate sfiorato i solchi, Moonlight
Revival, perché Pool Party è il risultato di un altro gruppo e di
un'altra idea di musica, insomma una seconda partenza. E siamo solo all'inizio.
Con la produzione di Dave Friedmann (leggere alla voce Mervury Rev e Flaming Lips,
per avere una visione precisa) i Ponderosa hanno pensato bene di mettersi sulle
orme di un rock etereo e dalla irritante grandeur, aggiungendo un pizzico di tutto
alla formula: la coralità dei Fleet Foxes (vagamente Here
I Am Born e Never Come Back), le
chitarre spaziali (solo quelle) di certi My Morning Jacket, naturalemente la psichedelia
pop dei citati maestri Falming Lips, un beat modernista e atmosfere che rubacchiano
spunti a destra e a manca, i nomi li potete pure aggiungere voi.
Nulla
di male, anche perché il predecessore faceva lo stesso su altri versanti: solo
che non basta dichiarare il proprio amore per presunti "neo-psychedelic sounds"
o inventarsi incomprensibili "earthen harmonies" per evitare di risultare stucchevoli
fino alla morte. Se non altro il buon Moonlight Revival aveva meno pretese e suonava
sinceramente rapito dalla tradizione, qui invece Black
Hill Smoke o Navajo danno solo
l'impressione di voler pasticciare, beandosi di un suono, senza prima averlo domato
e capito. Hai voglia ad esaltare la voce (bella, innegabile) di Kalen nash in
Cold Hearted Man, se poi i Ponderoisa finiscono nella confusione di On
Your Time o fra la magniloquente pretenziosità di Pool
Party, che pare la peggiore versione dei Simple Minds (e già
quella originale...) aggiornata al 2012. Con il loro esordio non furono notati
se non nei ristretti ambiti dell'Americana: scommettiamo che con questo disco
verrano persino presi sul serio? Forse hanno ragione loro...