Fedeli alla linea Mason-Dixon
del rock ma con una punta di modernità, soprattutto rispettosi delle loro
origini, i Ponderosa potrebbero essere la next big thing del rinascimento
sudista che in questi anni ha già portato a galla una miriade di discepoli e seguaci,
per anni anscosti nelle cantine. Originari di Atlanta, Georgia, come i fratelli
Robinson (Black Crowes) della prima era mettono insieme riff plateali di marca
Stones-Faces e mainstream rock americano cresciuto sulla strada, non disprezzando
però qualche incursione in territori che lambiscono l'alternative country più
morbido e persino una vena pop nell'utilizzo delle voci. Hanno insomma le carte
in regola per conquistare pubblici diversi, oppure potrebbero essere condannati
dalla scelta di non prendere una posizione netta. Le band che assecondano il loro
estro in realtà ci sono sempre piaciute e i Ponderosa, tenendo ben saldi i piedi
nel rock'n'roll più classico e fuori moda, si meritano tutto il sostegno possibile
per un esordio che farà concorrenza ai vari Blackberry Smoke, Cross Canadian Ragweed
e alla numerosa compagnia del Red Dirt.
Rispetto a questi ultimi sfoderano
però un sound (di mezzo c'è il produttore Joe Chicarelli, vecchia
volpe dell'alternative rock) meno stereotipato o forse soltanto una freschezaa
che il debutto può ancora garantire: Old Gin Road
è il solito rantolo boogie sudista a cui però la voce impastata di rauco soul
di Kalen Nash offre la marcia in più e lo scatto in avanti arriva nelle
successiva I Don't Mind,
esplosione di chitarre e rock da strada maestra che mette insieme i "Corvi"
della Georgia con il Tom Petty più elettrico. I poli di attrazione della band
sono chiarissimi: Kris Sampson (chitarra solista), Jonathan Hall (basso) e John
Dance (tastiere), a quali si aggiunge la batteria di Darren Dodd, sono figli della
bandiera confederata del rock, ma arrivando nel 2011 sul proscenio si concedono
un efficace riassunto che sappia incorporare la danzante ballata country Pistolier
e quella in odore di West Coast e Eagles Penniless,
il pop rock più romantico in Little Runaway
(un potenziale nuovo singolo) e quello più virato alla malinconia e al tormento
in Girl I've Ever Seen, il garage selvaggio
di Revolution e persino le trame heavy della
conclusiva Devil On My Shoulder.
Mettono
in fila una galleria di romanticismi e fughe che sono la quintessenza del genere:
non brillano certo per le liriche, accodate al clichè del rock'n'roll più "fuorilegge",
ma da queste parti si chiedono anima e sudore, accordi sferzanti e passione, la
stessa che pare avere convinto non solo la New West a metterli sotto contratto,
ma persino il pubblico del prestigioso South by Southwest di Austin, luogo dove
hanno fatto faville nella scorsa edizione. Facile pensarlo al primo attacco di
chitarre e organo in Pretty People, trascinante
southern swamp al testosterone o all'ascolto di quel basso corpulento che introduce
il soul rock tutta trepidante passione di Hold On You,
vero tour de force per la voce di Nash che ci trascina nella terra. Una promessa
da mettere in conto fra le nuove leve rock tradizionaliste americane. (Fabio
Cerbone)