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indie rock, 90s graffiti di
Yuri Susanna (06/06/2012)
Forse
i Cribs - tre fratelli dello Yorkshire - da piccoli sognavano di essere
gli Oasis. Certo loro non lo confesserebbero neanche sotto tortura, anzi, "musica
da bar priva di ispirazione" è il più gentile dei giudizi che hanno espresso sulla
band dei Gallagher. Del resto i tempi in cui sono comparsi sulla ribalta indie
britannica (sul finire del 2003) imponevano altri modelli: Libertines e Franz
Ferdinand in primis e, guardando all'altra sponda dell'Atlantico, Strokes. Ora
che sono diventati grandicelli, però, nella loro proposta si è fatta strada una
certa magniloquenza, un populismo rock che non stonerebbe su What's the Story
Modern Glory. La vicenda, per chi lo scorso decennio era distratto - o per chi
non legge il New Musical Express - è riassumibile in poche righe. Eccole: un disco
d'esordio di scontata esuberanza postpuberale, le lodi della stampa inglese, un
secondo disco molto atteso e trainato da un singolo (Hey Scenesters!) che sbeffeggia
gli indie-poser, il contratto con la Warner, un terzo disco spacciato per quello
della maturità e benedetto dal cameo di Lee Ranaldo dei Sonic Youth (forse passava
di lì per caso...), l'ingresso in formazione di Johnny Marr (proprio lui,
non un omonimo), un quarto disco che bissa il successo del precedente e li sdogana
infine presso la stampa americana (Pitchfork gli dà un bel 7 tondo, ed è tutto
grasso che cola), Marr che ringrazia del tempo passato insieme e ritorna per la
sua strada, amici come prima.
In The Belly Of The Brazen Bull
è dunque il quinto capitolo di una storia che forse neanche gli stessi fratelli
Jarman - Ryan e Gary cantano e suonano rispettivamente chitarra e basso, Ross
picchia sui tamburi - avevano previsto così lunga e fortunata. Per assemblarlo
sono stati chiamati Steve Albini e Dave Fridmann, che fu produttore tra
gli altri di Mercury Rev e Flaming Lips, testimoniando la voglia di cavalcare
quel ritorno alle sonorità alternative dei '90 che è nell'aria da qualche mese
(andate a rileggere quello che scrivevamo a proposito del chiacchierato disco
dei Cloud Nothings
uscito a inizio anno, anch'esso con lo zampino di Albini). Se però le influenze
dichiarate sono Pavement (Uptight, la sbilenca
Pure O), Weezer (Jaded
Youth prende in prestito il bridge di The Good Life) e altre nobili
realtà dell'epoca (in Anna si sente anche
un'eco di Dinosaur Jr, altrove potreste giurare di riconoscere i Sonic Youth),
sotto sotto c'è una voglia repressa di britpop che spinge per uscire allo scoperto
(Glitters Like Gold come apertura di disco
è in questo senso illuminante).
I Cribs non hanno smarrito l'esuberanza
giovanile, questo no, hanno imparato ad incanalarla in anthem per le masse che
sembrano scritti per essere cantati in coro dalle platee di Glastonbury (il brano
che chiude il tutto si intitola, molto onestamente, Arena
Rock Encore). Le antiche spigolature sono state smussate: le chitarre
non suonano secche e punk, ma "grasse" e glam, mentre la batteria insegue un big
drum sound (come nel singolo Chi-Town) che va tanto di moda nelle produzioni
indie rock che fanno trend (vedi i Japandroids). E' difficile che non troviate
almeno qualcosa di vostro gusto in quest'album, che scorre via che è un piacere.
Ma l'impressione generale è che, cercando bene, da qualche parte sulla confezione
del cd ci sia scritta la data di scadenza.