Cloud Nothings
Attack on Memory
[
Carpark/Wichita  
2012]

www.wichita-recordings.com


File Under: alternative rock, post-punk

di Yuri Susanna (29/02/2012)

Cominciamo dal titolo, che può essere letto su due differenti piani di senso. Il primo, dichiarato: questo disco è un attacco alla memoria (recentissima: stiamo parlando dell'altrieri o poco prima) di quello che sono stati i primi due dischi targati Cloud Nothings. Dal progetto do it yourself di un adolescente di Cleveland armato di laptop e innamorato delle destrutturazioni power-pop a bassa fedeltà, si passa all'assalto sonoro di un gruppo di guastatori post-punk. Dylan Baldi non fa più tutto da solo: ora tra le mani si ritrova una vera band, e la cosa gli ha spalancato davanti un mondo da esplorare. Ora, come ha dichiarato lui stesso, la sua musica può finalmente suonare "come quella degli artisti che ascolta". Il secondo significato è meno palese, ma è quello che più ci colpisce: fin dalle prime battute di No Future/No Past - un'ipnosi angosciosa e disturbante che ci riporta alla rabbia implosa di In Utero dei Nirvana - prende forma un assalto diretto alla memoria e all'immaginario sonoro di una generazione, quella che ha assistito, al volgere tra gli '80 e i '90, alla rapida e sfavillante combustione dell'alternative rock americano. E' tanto forte il senso di dejà vu che neanche stupisce più di tanto la scoperta che dietro le distorte abrasioni delle chitarre e quel suono di batteria crudo e in rilievo c'è la mano di Steve Albini. Chi altri poteva essere?

Trentadue minuti bastano a dare l'illusione, a chi ha quarant'anni o giù di lì, di ritrovarsi nei sogni bagnati dei propri vent'anni: c'è il tempo per godersi i preliminari con le melodiche angolarità dei Pixies (Cut You), prendere da dietro (ehm...) le trame post-hardcore dei Fugazi (Separation), assistere voyeuristicamente all'accoppiamento di Sonic Youth con Husker Du (Our Plans), inseguire stanchi orgasmi nirvanici (il canto straziato di No Sentiment), estenuarsi in un amplesso orgiastico di nove minuti (l'ambiziosa Wasted Days), ammucchiati tra reminiscenze Slint, Bitch Magnet e - perché no - Built to Spill, e cedere a tentazioni di facili sveltine (Fall In, quasi un "nugget" di hardcore punk melodico californiano).

Semplice revival, dunque? No, ci pare piuttosto che Baldi usi un linguaggio - certo temporalmente connotato, forse anacronistico, ma comunque dato per morto troppo presto - per parlare al presente, hic et nunc (No Future, No Past, appunto), incanalando in forme preesistenti, già usate, le sue proprie e attuali frustrazioni generazionali. Mostrandoci così come sul terreno bruciato di quella stagione lontana si possa ancora seminare la propria angoscia postadolescenziale e vederne nascere frutti più o meno maturi. Certo, le ingenuità non mancano, ma si possono perdonare con un po' di indulgenza. Se tutto questo sia il preludio a un revival della stagione grunge, come si sente presagire qua e là, non sappiamo dirvelo, e in fondo ci interessa poco. Nel dubbio, portate in lavanderia le vostre vecchie camicie di flanella a quadri.


   


<Credits>