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folk, retro country di
Fabio Cerbone (31/01/2012)
Klara e Johanna Söderberg si sono innamorate dell'America e dei suoi miti un po'
ancestrali, della tradizione delle murder ballads, della vecchia country music
dei Louvin Brothers e dei duetti fra Johnny Cash e June Carter. Sono passate in
fretta dal folk a tinte brumose e british che spesso invadeva le partiture del
precedente The
Big Black & The Blue, esordio importante su scala internazionale, all'estasi
country pop del qui presente The Lion's Roar. Galeotto fu il primo
tour negli States e in particolare un viaggio in California, dove le due sorelle
svedesi, nuovo fenomeno del folk contemporaneo, hanno fatto visita al luogo sacro
di Joshua Tree, lì dove aleggia da sempre lo spirito tormentato di Gram Parsons.
Il frutto di questa infatuazione si chiama Emmylou
ed è una carezzevole, dolcissima ballata dai colori agresti dove le due ragazzine
(la più grande ha da poco superato i vent'anni) hanno il coraggio, anzi la sfacciataggine
di cantare un verso come: I'll be your Emmylou and I'll be your June/ If you'll
be my Gram and my Johnny too.
Tutto avrebbe un sapore un po' artefatto,
persino un poco ridicolo, se non fossimo stati convinti già dall'episodio antecedente
sulle qualità di questa coppia: voci celestiali, ammiccamenti all'imperante verbo
del new folk quanto volete, ma anche una padronanza del linguaggio e alcune armonie
che di tanto in tanto rischiarano il cielo. La colpa maggiore di The Lion's Roar
resta la sua statiticità: atmosfere che si inseguono e si accavallano somingliandosi
un po' troppo, forse dovute anche ad una produzione, quella di Mike Mogis negli
studi di Omaha (casa dei Bright Eyes e di un Conor Oberst che ci mette
lo zampino nel finale gioioso e bandistico di King of
the World) assai caratterizzante. Fatto sta che la drammatica apertura
con la stessa The Lion's Roar, i riverberi che sommergono buona parte delle interpretazioni,
da In the Hearts of Men alla citata Emmylou,
da una sintomatica Blue (e poi non dicano
che tirare in ballo Joni Mitchell è solo frutto della pigrizia del recensore di
turno...) fino agli intrecci vocali di This Old Routine
(e qui le parentele con il tracciato dei Fleet Foxes si fanno sentire, tanto che
le First Aid Kit si fecero conoscere proprio con una cover di questi ultimi) sono
nell'insieme una strizzata d'occhio irresistibile per chi frequenta queste sonorità.
Nulla toglie che The Lion's Roar assomigli pericolosamente ad un lavoro
studiato a tavolino: quell'aura country folk che fa molto sixties giunti in ritardo
(I Found a Way, Dance
to Another Tune), una cura maniacale eppure spontanea delle voci (la
nostalgica To a Poet), i camei del citato
Oberst e dei Felice Brothers tornati nell'alveo della tradizione, tutto concorre
al sospetto - magari soltanto per presunzione condetemelo - quasi una sorta di
tragicomico contrappasso, anche, forse soprattutto, quando le sorelle dichiarano
candidamente: We only sing sad songs. Patti Smith pare si sia commossa
al loro ascolto, vediamo che effetto avranno su qualcuno di voi...