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The Mountain Goats
Dark in Here
[Merge records/ Goodfellas 2021]

Sulla rete: mountain-goats.com

File Under: from Memphis to Muscle Shoals


di Fabio Cerbone (29/06/2021)

A sentirli così, eleganti, un po’ notturni, una musica, la loro, ricca di dettagli narrativi, di allusioni jazzy e ricercatezze melodiche, quasi non si crederebbe ai trascorsi dei Mountain Goats, campioni a inizio carriera di un folk bislacco e zoppicante, di ballate indie rock immerse nell’estetica sonora della bassa fedeltà. La trasformazione della band guidata da John Darnielle, vero deux ex machina del progetto, è in atto da diversi anni, certamente da quando c’è stato un primo passaggio attraverso le cure del prestigioso marchio 4AD e ancor più con l’accasamento presso la Merge records. Fino al traguardo di questo Dark in Here, terzo lavoro nell’arco di due stagioni (nel mezzo l’esperimento di Songs for Pierre Chauvin), che oltre a confermare la prolificità innata di Darnielle (una discografia ridondante e confusa la sua, come si conviene alla sua storia di songwirter indipendente), mette in chiaro i legami strettissimi con il precedente Getting Into Knives, quest’ultimo già lodato come punto di arrivo della loro maturazione artistica.

Se allora il luogo dell’ispirazione era stato lo storico studio di Sam Phillips a Memphis, oggi i riflettori si spostano ai leggendari Fame di Muscle Shoals in Alabama. Come dire l’intera fetta di storia dell’american music passata per il sud, anche se The Mountain Goats ne assorbono solo alcune fantasie e forse un certo tono nella scrittura, essendo la loro musica ben poco sanguigna e “sudista”. Assestato nella formula del quartetto con Peter Hughes, Matt Douglas e Jon Wurster ad affiancare il leader, il gruppo californiano apre spazi sonori, amplia la già levigata struttura del predecessore, lasciando fluire il taglio narrativo e un po’ impressionista con il quale Darnielle descrive la vita e le sensazioni. D’altronde, essendo anche un apprezzato romanziere, è inevitabile che si lasci guidare da una vena musicale e narrativa che arriva alle descrizioni di The Destruction of the Kola Superdeep Borehole Tower, nervoso folk rock tra i più elettrici della raccolta, The Slow Parts on Death Metal Albums, carezza tra soul e pop d’autore e che nulla sembra evocare della brutalità della musica a cui fa riferimento, e ancora Arguing With the Ghost of Peter Laughner About His Coney Island Baby Review, titolo nostalgicamente irresistibile che si accompagna a una cullante folk song dall’animo intimamente acustico.

Colpiscono i titoli e la loro curiosa immaginazione, ma la musica non è da meno: c’è una signorilità negli arrangiamenti che non scade mai nella svenevolezza, Darnielle canta con un registro limitato eppure con il giusto disincanto, mentre il manto musicale generato da pianoforte, organo, fiati (sax, clarinetto, anche un flauto nel finale di Let Me Bathe in Demonic Light) chitarre e seconde voci insegue piccole epifanie, alcune da mestrieranti (il tenero dondolio folk rock di Mobile, la tessitura più mossa di The New Hydra Collection), altre abbandonate alle profondità più scure del loro sound (la stessa Dark in here), quando non rapite da una densa e raffinata pastosità jazz, nella ritmica e nelle maglie della strumentazione: da qui spuntano la strepitosa Lizard Suit, con la sua fuga "free" nel finale e la più ammantata armonia di When a Powerful Animal Comes.

Ancora un disco notevole, la cui bellezza speriamo non sfugga nel frastuono contemporaneo.


    


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