C’è modo e modo di festeggiare l’anniversario della
propria avventura artistica. I Cool Ghouls, a dieci anni esatti
dagli esordi, scelgono la soluzione più convincente: pubblicare il disco
più maturo in carriera, quindici canzoni che sono la summa di un pensiero
nostalgico applicato al rock’n’roll. Facilmente accusabili di manie "retro",
avviluppati a una stagione di delizie pop psichedeliche e galoppate garage
rock, quello che mette al riparo il quartetto di San Francisco (una città,
un destino, verrebbe da dire) è la freschezza invidiabile con la quale
maneggiano il passato, la spontaneità che applicano alla materia, passando
in rassegna tutto il contenuto di At George’s Zoo nella
più totale naturalezza.
Il momento di ispirazione fuori della norma è confermato dal fatto che
l’album nasce da un raccolto di ben ventisette composizioni, incise nell’arco
di cinque mesi, situazione inedita per i Cool Ghouls, scambiandosi suggerimenti
e osando introdurre nel sound collaudato della band una sezione fiati,
persino qualche arco sullo sfondo. I risultati non si fanno attendere,
e se il nostro primo approccio con il gruppo, Animal
Races, ce li aveva presentati come credibili discepoli di un’ennesima
neo-psichedelia sulla tracce del Paisley Underground (Rain Parade e Dream
Syndicate i parenti più prossimi) e dei sempre riveriti maestri Byrds,
oggi lo “zoo di George” è popolato anche da animali più esotici, ovvero
sia da soluzioni strumentali che si aprono ad arrangiamenti fantasiosi,
dalla materia sognante di It’s Over in apertura a ballate dai colori
beatlesiani come Flying, fino a caramelle
di sunshine pop californiano quali Land Song,
uno dei gioielli del disco.
Pat McDonald (voce e chitarre), Ryan Wong (chitarre), Pat Thomas (basso)
e Alex Fleshman (batteria) vivono in una San Francisco sospesa nel tempo
e nella storia, senza sporcarsi troppo le mani con la preoccupazione di
sembrare contemporanei e peggio allineati al gusto omologato dell’indie
rock americano attuale: croce o deliza, fate voi, di chi non si sente
figlio del suo tempo musicale, ma di fronte al rotolare spedito di To
You I’m Bound, rock dal battito stradaiolo con tanto di assolo di
sax, o faccia a faccia con l’incalzante sparata garage psichedelica di
Smoke & Fire c’è poco da fare resistenza.
L’irresistibile intreccio delle armonie vocali, spesso portate in primo
piano, chiude il cerchio e conferma i Cool Ghouls come una di quelle formazioni
che scandagliano la storia del rock’n’roll manco si trovassero dentro
un museo, dove ogni sala riserva una sorpresa. La differenza con il puro
gesto imitativo è sottile (dalle parti di I Was Wrong e Look
in Your Mirror l’ombra di Brian Wilson e dei Beach Boys si palesa
in tutta la sua forza, mentre l’arpeggio di Feel Like Getting High
è più bydsiano dei Byrds stessi), ma la sfida è rimessa soltanto nelle
mani dell’ascoltatore, che potrà approcciare lo sfavillio elettrico di
In Michoacan e 26th St. Blues
o le effusioni folk rock di Helpless Circumstance con un sorriso
sulle labbra e una sospensione del giudizio, magari inseguendo i ricordi
immacolati di una lontana e innocente "Summer of Love".